Francia: e adesso avanti con il progetto europeo

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Questa volta è andata bene e il detto “non c’è due senza tre” è stato smentito. A questa prova erano chiamati gli elettori francesi al secondo turno per le elezioni presidenziali. Anche di questo appuntamento si era detto, con un po’ di enfasi, che sarebbe stato un referendum pro o contro l’Europa. Riferimento che non poteva non richiamare alla memoria due altri eventi comparabili: quello del voto dell’Assemblea francese del 1954 sul progetto di Comunità europea della difesa (CED) e il referendum del 2005 sul Progetto di Costituzione europea, entrambi conclusisi negativamente per l’approfondimento del processo di integrazione europea.

Nel voto per le presidenziali si nascondeva un pericolo supplementare: la temuta vittoria di Marine Le Pen non solo avrebbe impedito i necessari passi avanti di cui l’Unione Europea ha bisogno, ma avrebbe provocato una grande regressione fino a minare il futuro dell’Unione Europea.

La proposta delle destre francesi prevedeva un ritorno all’Europa delle nazioni, una concezione sovranista della convivenza europea che tornava ad esaltare le sovranità nazionali con tutto un corteo di arretramenti, a livello europeo ed internazionale, di quella cultura politica multilaterale che si era sviluppata dopo la Seconda guerra mondiale e che all’Unione Europea avrebbe consentito oltre settant’anni di pace. 

Il rifiuto francese, seppure in presenza di un forte astensionismo, di questi arretramenti dà adesso l’occasione alla Francia di rilanciare, insieme alla Germania – e si spera all’Italia – il progetto di una “sovranità” europea, invocata da Emmanuel Macron e a quanti sperano in una nuova Unione.

Ma il risultato elettorale francese dice anche che le resistenze, di forte impronta populista, restano forti e potranno trovare anche in altri Paesi membri dell’UE alleanze da non sottovalutare. È il caso delle destre italiane, dei Paesi di Visegrad (anche se qualcosa la guerra in Ucraina sta modificando al loro interno).

È anche per tenere conto di questa mappa frammentata degli orientamenti nazionali in Europa che è stata avanzata in Italia dal Partito democratico la proposta di lavorare ad una “Confederazione europea” che raccolga anche i Paesi che oggi non fanno parte dell’UE, ma che da questa attendono di essere accolti. La lista di questi Paesi è lunga: in ordine cronologico di domanda di ingresso ci sono i Paesi balcanici, in attesa da otre un decennio, e dopo l’aggressione russa, anche l’Ucraina, la 

Georgia e la Moldavia. L’obiettivo è chiaro: accendere per questi ultimi Paesi – e ad altri attuali partner UE, come l’Ungheria, che da questa dovessero prenderne le distanze –  un semaforo verde per l’ingresso nel “nucleo federale” dell’Unione, quando ve ne saranno le condizioni e dare con urgenza una protezione da minacce in provenienza dalla vicina Russia.

Non bisogna sottovalutare le difficoltà di realizzazione di questa proposta, che in un mutato contesto politico, rilancia l’opzione di un’Unione a più velocità e questo tanto per il raffreddamento di un’ambizione di unificazione continentale che per le difficoltà istituzionali e giuridiche di governare uno spazio politico ed economico differenziato. Si tratterebbe di un rafforzamento della possibilità, consentita dal Trattato attualmente in vigore, di procedere con “cooperazioni rafforzate” insieme con il Paesi che vogliono un’”Unione sempre più stretta”, senza farsi paralizzare da quanti vogliono procedere diversamente.

Meglio sarebbe a questo punto rimettere mano ai Trattati per riformarli; meglio ancora cogliere l’occasione di questa “rottura” della storia europea per avviare il cantiere di una Costituente europea che disegni un nuovo progetto con chi ci sta, in attesa che gli altri maturino le loro sovrane decisioni.

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