Europa, capro espiatorio

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Difficile sfuggire alle mode, come difficile è andare controcorrente. Così però diventa anche difficile capire quello che sta capitando e perché: andando invece contromano è vero che si corre il rischio di sbattere, ma si ha anche il vantaggio di vedere gente e cose in faccia.
È ormai diventata una moda, uno stucchevole luogo comune, addebitare ogni possibile colpa all’Europa. È sua la colpa se la Grecia va a fondo, se le Borse traballano, se la crescita e l’occupazione non arrivano e, naturalmente, è tutta colpa dell’Europa se non accoglie tutti i flussi migratori che straripano ovunque, per mare e per terra.
Per limitarci al mondo della politica questa moda è diventata uno “sport internazionale”: giocano a scaricabarile tra loro i Paesi dell’Unione Europea, la bacchettano le Istituzioni internazionali con il volto arrogantello di Christine Lagarde dal Fondo monetario internazionale, le indirizzano pressanti raccomandazioni dall’inerte ONU (che convoca una riunione d’urgenza fra un mese!) e le impartisce lezioni da oltre-Atlantico anche il presidente Obama.
Lasciano perplessi queste “lezioni americane”, che non sono quelle eleganti e raffinate di Italo Calvino, ma quelle sommarie e strumentali di un pur bravo Presidente americano che ha molte cose da raddrizzare nel suo Paese e molte responsabilità da fare dimenticare delle passate amministrazioni USA. Ma che ha anche un gran bisogno, in questo suo ultimo scorcio di mandato, di avere dall’Europa conforto nel suo apprezzabile tentativo di contrastare il becero rifiuto di un repubblicano come Donald Trump, a politiche di moderata accoglienza e integrazione per gli immigrati negli USA.
E tuttavia nel suo Paese dalle scandalose diseguaglianze e dallo Stato sociale ai minimi termini, Obama non può dimenticare quel muro col Messico che ha inaugurato la vergognosa stagione degli “argini fisici” all’immigrazione, anche lì con scarsi risultati, né le crescenti tensioni razziali, ma soprattutto non può dimenticare le gravi responsabilità del suo Paese e dei suoi predecessori, le cui decisioni di politica internazionale sono all’origine di molti di quei flussi migratori che oggi Obama chiede disinvoltamente di governare.
Basta pensare ai flussi migratori in provenienza dall’Afghanistan e dal Medioriente e alle iniziative destabilizzatrici nei Paesi del Mediterraneo meridionale, in Libia in particolare.
Agli USA bisognerebbe anche chiedere che cosa hanno fatto per le popolazioni africane, stremate dalla povertà e senza prospettive, se non quelle di mettersi in cammino, al prezzo della loro vita, verso la tanto deprecata Europa.
Ma non sono fuori luogo solo le “lezioni americane”, lo sono anche quelle dei politici dei Paesi e che da sempre eccellono nell’arte di addossare ogni responsabilità all’UE, pur di occultare le proprie ai loro elettori, dai quali dipende la loro sopravvivenza al potere. A questi signori – e signore – bisognerebbe chiedere chi sia l’Europa e chi ne detenga le leve di comando: si scoprirebbe facilmente che sono proprio i governi nazionali a manovrarle praticamente “in toto”, se si fa eccezione per la politica monetaria – con le sue proiezioni economiche e sociali – nelle mani della Banca centrale europea.
Farebbe ridere attribuire responsabilità decisionali alla Commissione o al Parlamento europeo, quando tutti sanno quanto poco queste Istituzioni contino ancora a fronte della inarrestabile deriva intergovernativa di un’Unione sempre più disunita e sempre meno “Comunità”. Bene faranno le Istituzioni comunitarie a prestare attenzione a chi moltiplica i consigli senza smettere di dare cattivi esempi, ma bene faranno anche i cittadini europei a sapere dove si annidano le vere responsabilità e a sanzionarle al momento del voto, senza lasciarsi ingannare sul bersaglio da colpire.

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