Elezioni in Serbia e incertezza del futuro europeo

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Il risultato del secondo turno delle elezioni presidenziali che si sono tenute in Serbia il 3 febbraio è stato carico di significato anche per l’Europa. La vittoria di Boris Tadic, moderato ed europeista, non era affatto scontata visto che era stata alquanto compromessa al primo turno dalle preferenze espresse per l’ultranazionalista e filorusso Tomislav Nikolic. àˆ stata una vittoria sul filo di lana, con il tasso di partecipazione al voto più elevato dalla caduta di Milosevic nel 2000. Due aspetti che rivelano la sensibilità   della posta in gioco e la scelta, quasi inevitabile, di guardare a un futuro rivolto non solo al perseguimento di un processo democratico in corso, ma anche rivolto verso l’Occidente e l’Europa.
Ma le elezioni presidenziali serbe e la riconferma di Tadic sono cariche di significato anche per tutti quegli intrecci politici e geopolitici che fanno da sfondo alla complicata e sensibile situazione dei Balcani nel loro insieme: l’indipendenza del Kosovo, le relazioni con l’Europa, con gli Stati Uniti e con la Russia e, infine, i complicati disegni di passaggi energetici di gas e petrolio, attuali e futuri, che si snodano proprio su quelle terre.
L’indipendenza del Kosovo è senz’altro il punto di equilibrio più sensibile nell’insieme di questi scenari: è simbolo della tenace memoria e della storia serba, è fonte di tensioni fra Est e Ovest e genera inquietudine per la stabilità   nella regione e in altre parti d’Europa. Una dichiarazione unilaterale d’indipendenza è stata annunciata ormai da tempo, ma provvisoriamente rimandata per interpretare i risultati delle elezioni e per capire come evolveranno le relazioni fra la Serbia e l’Europa. Una vittoria quindi, va sottolineato, che pone l’Europa di fronte a grandi responsabilità  .
E l’Europa, che ha tenuto il fiato sospeso in questo secondo turno elettorale, si è preparata, anche se con evidenti apprensioni da parte di alcuni suoi Stati membri, su due fronti: da una parte ha deciso l’invio in Kosovo di una forza civile composta da 1800 funzionari di polizia e magistrati per sostenere lo sviluppo di istituzioni democratiche, nella prospettiva del nuovo statuto, e dall’altra di aprire a Belgrado le porte di una maggiore cooperazione, che potrebbe portare a termine l’adesione all’UE. Due strategie politiche, la prima in particolare, che, malgrado i risultati elettorali, creano divisioni sia all’interno della Serbia che a livello internazionale.
La vittoria del presidente Tadic infatti non ricompone la posizione interna serba, unanimemente contraria, a livelli emotivi diversi, a qualsiasi dichiarazione unilaterale d’indipendenza del Kosovo e non piega la posizione della Russia, anch’essa contraria e pronta a sostenere la Serbia in questa battaglia sull’integrità   territoriale. Non solo, ma le relazioni fra Est e Ovest si complicherebbero con l’intenzione degli Stati Uniti di riconoscere immediatamente l’indipendenza kosovara e si complicherebbero anche all’interno dell’UE fra Paesi pronti a riconoscerla e altri molto più prudenti.
Per cogliere pienamente il quadro degli interessi in gioco nella regione è poi interessante dare uno sguardo anche all’espansione della NATO, giudicata come una strategia per garantire stabilità   nei Balcani di fronte all’ostilità   serba per l’indipendenza del Kosovo. Strategia naturalmente sostenuta dagli Stati Uniti e guardata ovviamente con irritazione, se non ostilità  , da parte di una Russia sempre più forte, ma anche sempre più accerchiata. Il prossimo Vertice NATO di aprile dovrebbe infatti prendere una posizione sull’ingresso nell’Alleanza Atlantica di Croazia, Albania e Macedonia.
Serbia quindi potenziale terreno di scontro fra interessi dell’Est e dell’Ovest e soprattutto perno di stabilità   nei Balcani, prossimo crocevia di rotte del petrolio e del gas, in cui si gioca, almeno in parte, anche la partita politica dell’accesso all’energia. C’è molta attività   in corso al riguardo, come dimostra il recente accordo tra Bulgaria e Russia per il passaggio del gasdotto South stream che dovrebbe portare gas russo direttamente in Italia, o il progetto europeo di gasdotto Nabucco che dovrebbe portare gas fino a Vienna, evitando la Russia, sempre attraverso i Balcani.
Anche se il risultato di queste elezioni ha confermato l’aspirazione serba a un futuro rivolto all’Europa, le posizioni sul Kosovo rendono evidentemente incerta e ancor più difficile la strada dell’integrazione europea. A complicare maggiormente il dialogo politico con la Serbia è anche l’ambigua posizione dell’UE, che non vuole che si facciano nessi tra lo statuto definitivo del Kosovo e l’Accordo politico di cooperazione, la cui firma dovrebbe avvenire nei prossimi giorni. Una posizione che disorienta Belgrado e che non illumina sul futuro di relazioni quanto mai sensibili per la stabilità   di una regione alle immediate frontiere dell’Europa. Senza naturalmente dimenticare che la firma dell’Accordo di Stabilità   e Associazione (ASA), vero preludio allo statuto di Paese candidato, è stata rinviata per la mancata cooperazione della Serbia con il Tribunale Penale dell’Aia e la consegna ad esso del criminale di guerra Ratko Mladic.
La Serbia a due giorni dal voto è più che mai divisa fra Europa e integrità   territoriale, mentre le ultime notizie giunte da Belgrado segnalano che le posizioni in campo sono ben lungi da una soluzione di compromesso.
La dichiarazione d’indipendenza del Kosovo è tuttavia alle porte e la stabilità   del prossimo futuro dipenderà   molto anche dalle risposte dell’Europa.

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