E anche da Est niente di nuovo (e di buono per l’UE)

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Non sono una sorpresa i risultati elettorali in Polonia di domenica scorsa. Li aveva già chiaramente preannunciati, in primavera, l’esito del voto per la Presidenza della Repubblica e preparati il crescente malessere polacco nella vicenda dei flussi migratori, tradottosi in derive xenofobe e in forti tensioni con Bruxelles, diventata bersaglio per responsabilità non sue.

In particolare non sorprende la scelta ultra-conservatrice del popolo polacco, molto affezionato alle sue tradizioni, anche se un po’ stupisce la colorazione euroscettica del voto per un Paese accolto a braccia aperte nell’Unione Europea, dalla quale ha ricevuto in questi anni abbondanti risorse finanziarie che hanno contribuito ad una crescita ininterrotta in questi anni di crisi e a una forte riduzione della disoccupazione.

È evidente che ha fatto da traino a questa radicalizzazione della politica polacca l’ondata populista, gonfiatasi in Europa in questi ultimi tempi, insieme alle pressioni russe ai confini dell’UE in occasione del conflitto tuttora in corso con l’Ucraina e all’apertura della via balcanica per i profughi in fuga da Siria e dintorni. Né in proposito ha potuto sortire effetto il Vertice convocato d’urgenza a Bruxelles domenica scorsa con i leader dei Paesi della “Rotta balcanica”, conclusosi con un fragile accordo di cooperazione.

La Polonia è, per l’UE, un Paese importante: non solo per le sue dimensioni territoriali e demografiche, ma anche per le sue potenzialità di sviluppo economico e la sua collocazione geopolitica. Le frontiere della Polonia, malmenate da secoli, sono diventate particolarmente sensibili in questi ultimi cento anni, da quando nel 1919 raggiunse l’indipendenza con il Trattato di Versailles, subendo l’occupazione tedesca nel 1939, per poi passare nella sfera d’influenza dell’Unione Sovietica, fino alla dissoluzione di quest’ultima nel 1991, in attesa di entrare nell’UE con il grande allargamento del 2004.

Come sempre accade quando la storia si muove, anche la geografia rischia di modificarsi e le frontiere tornano a farsi sentire. Per la Polonia tutto questo è particolarmente evidente, quando si considerano i suoi confini: quello ad alta sensibilità dell’Oder-Neisse con la Germania e quelli a nord con la Russia e a est con la Bielorussia e l’Ucraina. Una collocazione che spiega anche perché alla Polonia stia molto a cuore la NATO e, con essa, gli USA suoi azionisti di maggioranza, a cui guarda in cerca di protezione nei confronti dell’“orso russo” e dalle sue recenti zampate, come nel caso dell’Ucraina.

All’Unione Europea, alle prese con problemi crescenti, la nuova Polonia è improbabile che dia un contributo per muovere verso l’Unione politica, gelosa com’è della sua ritrovata sovranità e diffidente verso la Germania, la sola che oggi potrebbe prendere l’iniziativa per avanzare su quella strada. Lo testimonia la resistenza della Polonia ad entrare nell’eurozona, l’ostilità al dialogo con la Russia, la simpatia verso l’Ungheria di Viktor Orban e i ripetuti contrasti con Bruxelles, che non potranno che crescere.

Ma se è improbabile che questa Polonia aiuti l’Europa dei 28 ad essere più coesa, non è escluso che il suo atteggiamento stimoli quanti, nei Paesi dell’Eurozona, e più in particolare tra i sei Paesi fondatori, si stanno interrogando sull’urgenza di riprogettare un’Unione a più velocità, con un’architettura a cerchi concentrici che meglio potrebbe adattarsi alla convivenza con i Paesi dell’Est europeo.

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