L’Italia vista da fuori

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Due argomenti di politica italiana hanno fatto in questi giorni i titoli dei giornali stranieri: la rovinosa caduta della Lega e la contrastata riforma del mercato del lavoro.

Nel primo caso i commenti hanno oscillato tra i sarcasmi sul folklore padano e la diffusa metastasi della corruzione politica: per l’Italia che cerca di rialzarsi si è trattato di una botta che non ci voleva, per la Lega il ridimensionamento di un fenomeno politico diventato in poche ore un fenomeno da baraccone. Nell’insieme commenti scontati anche se sconfortanti, sui quali stendere un pietoso velo e non accanirsi a sparare sulla Croce rossa – verde, in questo caso – e i feriti e moribondi che trasporta.

“Sic transit gloria mundi”, verrebbe da dire. Dev’essere anche quello che è passato per la mente di chi per un momento aveva creduto di ritrovare in Mario Monti una rediviva Margaret Thatcher. E’ capitato al Wall Street Journal (Wsj, per gli addetti ai lavori) che, dopo aver inneggiato all’abolizione dell’articolo 18 sui licenziamenti, si è dovuto ricredere cacciando Mario Monti dal Pantheon dove giacciono i castigatori dei sindacati. Viene il sospetto che il Wsj si sia reso conto della sua svista leggendo sul confratello Financial Times (Fi, sempre per lo stesso giro di addetti) le dichiarazioni un po’ precipitose della signora Emma Marcegaglia, che prima di lasciare lo scettro di Presidente di Confindustria al più dialogante successore Giorgio Squinzi, ha bollato il compromesso del Governo Monti come una “cattiva riforma”. Una dichiarazione al meglio inopportuna, forse anche un po’ improvvida conoscendo il nervosismo dei mercati e la tendenza dello “spread” italiano a risalire verso l’alto, come non a caso è poi avvenuto puntualmente, grazie anche al traino della coppia Wsj e Fi nel circo della finanza internazionale.

La risposta di Monti non si è fatta attendere, con l’invito alla Marcegaglia a valutare con più attenzione il testo del compromesso e costatarne l’equilibrio complessivo. Uno scambio secco di dichiarazioni tra una Marcegaglia che se ne va e un Monti che ha tutte le intenzioni di restare, consapevole che il percorso parlamentare della riforma del mercato del lavoro si annuncia complicato, con il PdL di Alfano – ma anche di altri, che in lui tanto non si riconoscono – diviso sul compromesso raggiunto.

Intanto dall’Europa arrivano segnali di una crisi lontana che ancora incombe. Ritorna l’instabilità greca, prevedibilmente aggravata dalle prossime elezioni; il Portogallo segue a ruota la deriva fallimentare ellenica e la Spagna non ne sembra più tanto lontana, come dimostra l’esplosione del suo “spread”; la Francia, in piena campagna elettorale, usa disinvoltamente l’Europa per cercare consenso pro e contro i contendenti in lizza e anche la solida e severa Olanda è in difficoltà a contenere il suo deficit di bilancio e a tenere in piedi il suo governo, preso in ostaggio da una forte ala populista.

Naviga in acque provvisoriamente tranquille la Germania, almeno fino al prossimo test elettorale, quello in Renania Westfalia, dal quale Angela Merkel riceverà un messaggio chiaro sulla sorte che l’aspetta nelle elezioni federali dell’anno prossimo.

Intanto, fino ad allora l’Unione Europea è appesa all’esile filo della disponibilità tedesca a rafforzare il Fondo salva-Stati, nella speranza che la decisione non sia presa “a babbo morto”, qualora la Spagna dovesse seguire la china della Grecia. Allora sarà troppo tardi per salvare la baracca e anche l’Italia sarebbe risucchiata nel gorgo dei debiti insolvibili.

A confronto, a quel punto, la vicenda della Lega sarebbe una quantità trascurabile, se non fosse che da subito è di pessima qualità e non ci aiuta ad essere credibili in Europa e nel mondo.

 

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