Diario di guerra 21: Alla ricerca della pace perduta, tra sussurri e grida

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Mentre la guerra in Ucraina entra nel decimo mese e dove i civili, stremati, stanno diventando il punto di mira della strategia di Putin di fronte alle rigidità dell’inverno, continuano i sussurri di iniziative di pace dalle due sponde dell’Atlantico e altrove.

In un primo incontro a Washington tra il Presidente Biden e il Presidente francese Macron, avvenuto il primo dicembre scorso, fra i punti caldi e saldi che legano non solo la Francia, ma l’insieme dell’Unione Europea agli Stati Uniti, la guerra in Ucraina è stata al centro delle discussioni e preoccupazioni. 

Nel comunicato stampa finale, viene sottolineata la condanna per un’aggressione inaudita ad un Paese sovrano  e per la costante minaccia dell’uso nucleare; vengono ribaditi gli impegni per sostenere politicamente, economicamente e militarmente l’Ucraina affinché difenda la sua integrità territoriale  e viene confermato il sostegno per affrontare l’inverno e la mancanza di energia e riscaldamento per la popolazione. Inoltre, i due Presidenti hanno tentato una timida proposta di dialogo con il Presidente russo Vladimir Putin, affinché possa aprirsi uno spiraglio di cessate il fuoco e, a lungo termine, di pace. 

Se, da una parte il Presidente Biden ha espresso la disponibilità, con la NATO, a un dialogo con Putin, dall’altra il Presidente Macron, da sempre promotore di un canale aperto con Mosca, ha ricordato l‘opportunità offerta al dialogo dalla Conferenza internazionale che si svolgerà a Parigi il 13 dicembre prossimo, in cui l’Occidente e altri alleati di Kiev si coordineranno per il sostegno all’Ucraina e alla sua ricostruzione futura. 

Purtroppo, la realtà della situazione e a cui si è confrontati, parla un linguaggio ben diverso. Se da una parte Biden e Macron a Washington hanno ribadito il concetto di “pace sostenibile” basata su legittime e accettabili condizioni per l’Ucraina, dall’altra il Presidente russo ha risposto con totale intransigenza e chiudendo le porte a possibili trattative o ad iniziative diplomatiche. La strategia sembra essere quella, visti gli scarsi successi militari, di riorientare l’aggressione verso l’intera popolazione civile, privandola dei necessari mezzi di sussistenza e di obbligare il Paese alla resa. Una resa che trascinerebbe l’intero Occidente.

Tragica prospettiva che si gioca, al di là degli aiuti militari e del sostegno degli alleati, sulla pelle degli ucraini e sulla loro capacità di resistenza di fronte ad uno Stato che il Parlamento europeo ha definito “terrorista” e per il quale la stessa Unione Europea, nelle reiterate accuse di crimini di guerra, invoca l’istituzione di un tribunale speciale, sostenuto dalla Nazioni Unite.

Alcuni barlumi di speranza per l’avvio di un negoziato per il cessate il fuoco si erano già accesi con i tentativi di mediazione, in questi dieci mesi di conflitto, da parte della Turchia. Sembrava inoltre che, in occasione dell’ultimo G20 a Bali, la stretta di mano fra il Presidente Biden e Xi Jinping promettesse un atteggiamento meno ambiguo da parte della Cina nei confronti di questa guerra e un impegno a favorire un negoziato per un cessate il fuoco. E a nulla sembra essere servito, al riguardo, il viaggio e il colloquio con XI Jinping del Presidente del Consiglio europeo, Louis Michel, nei giorni scorsi a Pechino. 

Rimane quindi in sospeso il futuro di questa guerra nel cuore dell’Europa, dove la pace oscilla tra i sussurri della diplomazia e le grida della guerra.

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