Diari di guerra 8: riflettori sul Medio Oriente

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Cinque mesi di guerra, cinque mesi di incontenibile follia distruttrice che, al di là del campo di battaglia dell’Ucraina, sta ridisegnando i rapporti internazionali e rimette in luce nuovi e antichi interessi in una geopolitica in rapido movimento.

E’ il quadro, in particolare, dell’interesse esplicito per il Medio Oriente che i due grandi attori in questa guerra globale, Russia e Stati Uniti, dimostrano attraverso i loro viaggi e i loro rispettivi incontri con i Paesi della regione. Joe Biden aveva in agenda gli incontri con Israele e Arabia Saudita, Putin ha programmato il suo viaggio in Iran, dove ha incontrato anche Erdogan. Incontri che si sono svolti a pochi giorni di distanza gli uni dagli altri, quasi a segnare la necessità di rapide mosse su uno scacchiere particolarmente sensibile e attraversato da conflitti irrisolti.

A Teheran Putin, Erdogan e Raïssi hanno discusso della situazione in Siria, Paese sempre in guerra e dove Russia, Turchia e Iran sono tre attori di rilievo, anche se con posizioni diverse. Non solo, ma, in presenza dell’ONU, i tre Paesi hanno raggiunto un accordo di principio sullo sblocco di 20 milioni di tonnellate di cereali bloccati nei silos in Ucraina. 

Il Presidente americano, per la sua prima visita nella regione, ha, d’altro canto, mandato un messaggio al mondo dicendo che gli Stati Uniti, malgrado l’interesse strategico dichiarato per l’Indo Pacifico e a causa della guerra in Ucraina, intendono ritornare sullo scacchiere mediorientale per far fronte alle nuove sfide. Momento difficile quindi, se si pensa che le elezioni di mid-term del prossimo novembre si avvicinano a grandi passi. Ma le sfide sono di taglia: l’approvvigionamento, la sicurezza e la produzione energetici, il vertiginoso prezzo del petrolio e l’inflazione che scuote economicamente i Paesi occidentali, compresi gli Stati Uniti, la stabilità e la sicurezza regionale,  il rafforzamento del rapporto fra Israele e i Paesi arabi attraverso gli Accordi di Abramo e, sfida fra le sfide in questo momento, le ambizioni nucleari dell’Iran. 

Biden ha incontrato in primo luogo i vertici israeliani, impigliati in una precaria situazione politica e in affanno per nuove elezioni nel novembre prossimo, le quinte in poco più di tre anni. Il tema dell’accordo sul nucleare con l’Iran, ora ad un punto morto, faceva da sottofondo ai colloqui, un tema particolarmente sensibile per Israele e per la sua sicurezza. Non solo, ma al di là delle garanzie di sostegno e di rinnovata cooperazione con Israele, Washington vede nel rafforzamento dei rapporti fra Israele e l’Arabia saudita in particolare, un punto essenziale per la stabilità regionale e il contenimento del ruolo dell’Iran al riguardo. Un obiettivo che sembra dare qualche timido segnale di attuabilità, sapendo che i due Paesi non hanno relazioni diplomatiche e Ryad non ha mai riconosciuto Israele. 

Non sorprende quindi che, dopo un brevissimo incontro con l’Auorità palestinese senza particolare rilievo politico, Biden abbia potuto volare direttamente da Israele in Arabia saudita e incontrare le autorità saudite. Non era cosa facile per il Presidente americano ricuperare e normalizzare un rapporto di fiducia e dialogo con un Paese che aveva sempre condannato per il suo non rispetto dei diritti umani, in particolare dopo l’assassinio del giornalista Kashoggi. Ma l’Arabia Saudita, che è sempre stata un fedele alleato degli Stati Uniti,  è anche un Paese grande produttore di petrolio. La richiesta formulata da Biden ai sauditi per un aumento della produzione, aveva come obiettivo quello di fermare la volatilità del  prezzo del greggio che minaccia l’economia mondiale.  Non sfugge quindi a nessuno l’importanza strategica regionale che riveste oggi Ryad agli occhi di Washington, un’importanza che purtroppo conferisce legittimità a un Paese che non dimostra alcun rispetto per la democrazia e i diritti fondamentali. 

Il realismo politico degli Stati Uniti, messo in evidenza durante questo primo viaggio in Medio Oriente, non si ferma tuttavia alla regione, ma si estende  all’obiettivo di recuperare quello spazio che Cina e Russia potrebbero occupare, in un contesto geopolitico in rapido movimento e che la guerra in Ucraina non smette di ridefinire. Al riguardo, anche Il viaggio di Putin a Teheran ne è la chiara dimostrazione. 

Al riguardo resta tuttavia sempre in sospeso la domanda che ci riguarda più da vicino : ma dove si situa l’Europa in questo contesto? E  come pensa alla sua sicurezza e al suo ruolo in un contesto di grande vulnerabilità, in particolare sul suo fianco orientale?

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