Dialogo Roma-Bruxelles sul PNRR

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Si intensificano le pressioni all’interno della maggioranza di governo e gli scambi con la Commissione europea a Bruxelles a proposito del “Piano nazionale di ripresa e resilienza” (PNRR).

Il tema non è certo marginale vista l’entità delle risorse europee a disposizione e la necessità per l’Italia di affrontare una crisi economica severa, mentre è alle prese con l’inflazione all’11% e con il macigno del nostro debito pubblico, aggravato dall’aumento dei tassi di interesse, deciso dalla Banca centrale europea (BCE) per proteggere la stabilità monetaria nell’eurozona.

Ricapitoliamo l’essenziale sul tema. Per rispondere alla crisi economica indotta dalla pandemia l’Unione Europea aveva, a luglio 2020, adottata una decisione straordinaria e coraggiosa: lo stanziamento di 750 miliardi di euro, in parte contributi a fondo perduto e in parte prestiti, ricavato da un debito comune europeo, frutto della solidarietà dei 27 Paesi UE. 

Di questo stanziamento ben 191 miliardi erano stati destinati al PNRR dell’Italia, prima beneficiaria assoluta nell’UE, a fronte di un duplice impegno: procedere alla realizzazione dei cantieri prioritari (in particolare transizione ecologica e digitale) concordati con Bruxelles e adottare contestualmente una serie di importanti riforme, dalla giustizia alla concorrenza fino alla Pubblica Amministrazione per citare solo le principali.

Adesso, mentre la scadenza fissata per la realizzazione del PNRR si avvicina, emergono difficoltà ad onorare gli impegni presi, complice la nuova situazione di crisi energetica che ha aggravato quella economica già in corso, ulteriormente penalizzata dal perdurare della guerra in Ucraina.

Di qui la richiesta dell’Italia di poter rivedere il suo “Piano nazionale”, tanto a proposito delle priorità economiche che delle scadenze previste per la sua realizzazione, di cui fanno parte anche riforme convenute con il governo Draghi e adesso confrontate alle posizioni variegate della maggioranza di destra-centro. 

In gioco c’è molto di più che non i limiti al contante o alla soglia obbligatoria per i pagamenti elettronici della prossima legge di bilancio. Pesano molto di più i rischi di presentarsi a Bruxelles senza le carte in regola – come nel caso dei 100 miliardi di evasione fiscale e della mancata riscossione dell’IVA – rinnovando un’immagine di scarsa affidabilità, destinata a far salire l’insofferenza di quei Paesi che già avevano storto il naso all’ampiezza dell’apertura di credito fatta all’Italia, accettata alla fine grazie a due garanti di peso che erano allora Mario Draghi e Sergio Mattarella.

Adesso che Draghi ha lasciato il timone, tocca a Mattarella tenere la barca dell’Italia in linea di galleggiamento, avvalendosi dei limitati poteri di cui dispone e che sta usando con tutta la discrezione necessaria. E’ quanto avvenuto i giorni scorsi, in occasione dell’inaugurazione della stagione musicale della Scala a Milano, dove sul palco erano seduti fianco a fianco il Presidente della Repubblica, la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e la Presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni. Un’immagine plastica di un dialogo complesso dove tutti erano chiamati a portare un contributo positivo, facendo leva in particolare sull’autorità morale e politica del Capo dello Stato.

E’ toccato a lui sollecitare comprensione da parte della Presidente della Commissione europea, ottenendone una qualche apertura, mentre chiaro era il messaggio alla Presidente del Consiglio di rispettare i Trattati e onorare gli impegni politici che ne discendono. 

Funziona così l’Unione Europea, anche quando si parla a nuora perché suocera intenda.

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