Democrazie in crisi in Europa?

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L’Europa non è alla sua prima crisi. Molte ne ha vissute, e anche più gravi, nei secoli passati e altre, meno drammatiche, negli ultimi decenni: da tutte si è risollevata ed ha energie per farlo ancora oggi. Non è però un motivo per sottovalutare il diffuso malessere che pesa da tempo sull’Unione Europea, cuore di un continente non proprio in buona salute alle sue frontiere.

Basta pensare ai conflitti che ne lambiscono i confini, dall’Ucraina alle sponde del Mediterraneo, e al virus autoritario che ammorba Paesi limitrofi, come nel caso della Russia, della Turchia e dell’Egitto, solo per citarne alcuni.

Non consola il “mal comune, mezzo gaudio” di quelli che vedono sempre e solo il bicchiere mezzo pieno, specie quando si tratta del logoramento che sta subendo la vita democratica nei Paesi dell’UE.

E non c’è solo il caso di Polonia e Ungheria, giunte già a uno stadio sintomatico avanzato di alterazione delle regole democratiche, ma vi sono altre situazioni di infezione acuta, se non già di latenza clinica, che non annunciano nulla di buono sull’esito finale.

Polonia ed Ungheria sono da tempo avviate dalle Istituzioni dell’UE verso una procedura di infrazione allo Stato di diritto per aver attaccato l’indipendenza della magistratura e la libertà di stampa e di associazione. Recentemente il Parlamento europeo ha dato, con un’ampia maggioranza, il suo sostegno alla procedura di infrazione: tra gli europarlamentari italiani, tutti si sono espressi in tal senso, ad eccezione della Lega che sembra condividere quello che succede in Polonia e Ungheria. Sulla sponda opposta al Carroccio si sono collocati i Cinque stelle, almeno al momento del voto a Strasburgo, salvo poi accordarsi a Roma con la Lega per ostacolare la procedura di infrazione approvata al Parlamento europeo.

Ma anche Paesi di consolidata vita democratica tradiscono sintomi di infezione, come quando in Francia il potere presidenziale prevarica su quello del Parlamento, decreta discutibili “stati di emergenza”,  e le istituzioni repubblicane riconoscono una limitata indipendenza alla magistratura o quando nella riconquistata democrazia tedesca, pur solida nella sua configurazione federale, ma alle prese con movimenti violenti, che ricordano tempi bui del passato e spingono verso la destra estrema anche settori tradizionalmente moderati.

Non sembra immune dal quel virus neanche la Gran Bretagna, dove l’azzardo del referendum su Brexit, lanciato ad uso interno del partito conservatore, ha innescato un corto circuito all’interno del Parlamento, paralizzandone l’azione per due anni e tenendo sospesa la vita del governo, senza avere ancora idea di come finirà.

La vicenda britannica ha contribuito a portare ulteriormente allo scoperto anche le debolezze delle Istituzioni europee che, nonostante la loro compatta fermezza nel condurre il negoziato sul divorzio, sono state trascinate in una dinamica senza fine di rinvii, provocando incertezze e ritardi che evidenziano le difficoltà di attivare procedure democratiche in situazioni di grande complessità.

Una complessità che fa anche da sfondo alle tensioni in corso in questi giorni tra Roma e Bruxelles a proposito del rispetto delle regole condivise in materia di corretta gestione delle finanze pubbliche in occasione dell’elaborazione della legge di bilancio. Anche qui sono sotto pressione le procedure democratiche tra chi si appella alla decisione sovrana dell’Italia e chi le ricorda che l’Italia e le sue istituzioni repubblicane hanno sottoscritto Trattati e assunto impegni da onorare. E’ di nuovo il momento per tutti di andare a rileggere l’art. 11 della nostra Costituzione quando afferma che l’Italia “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni”. L’Italia, con altri diciotto Paesi dell’UE, ha consentito una sostanziale delega di sovranità quando ha adottato l’euro, vincolandosi alle regole che lo governano. Saranno pure regole non perfette e da rivedere, ma intanto quelle sono e vanno rispettate, soprattutto quando nel “condominio” della moneta unica siamo quelli che portano in dote un debito pubblico di 2300 miliardi di euro e non danno garanzie su una sua progressiva riduzione. Non è solo una battaglia sui numeri, lo è soprattutto sul rispetto della vita democratica, nostra e nell’Unione Europea.

  

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