Democrazie europee sotto stress

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Molto si è parlato in questi ultimi tempi, e ancora se ne parlerà, del rischio di “contagio”. Lo si è detto e ripetuto a proposito della crisi finanziaria, dei debiti sovrani, dei “virus” che hanno aggredito le banche di mezzo mondo, mettendone in pericolo la stabilità. , anche se sono lontani gli entusiasmi esplosi all’indomani dell’abbattimento del Muro di Berlino nel 1989, quando in molti pensarono che con la fine della guerra fredda un’ondata di democrazia avrebbe segnato il nuovo secolo che si annunciava. Non è andata proprio così in molte parti del mondo, salvo in Europa e in qualche Paese dell’America latina.
Più recentemente, i fermenti della “Primavera araba” hanno fatto sperare in una nuova alba di democrazia nell’area mediterranea ma con esiti a tutt’oggi incerti e non senza ombre, con la persistenza nell’area mediorientale di regimi dittatoriali, come quello iraniano e siriano, o Paesi in preda a continue convulsioni, come l’Iraq e l’Afghanistan.
In Europa, in particolare, la dissoluzione nel 1991, dell’Unione Sovietica ha consentito a molti Paesi che ne facevano parte di ritrovare la strada verso la democrazia e di poter contare sull’Unione Europea per accompagnarne la difficile transizione, mentre lontane da una democrazia ‘minima’ restano ancora la Russia di Putin insieme con l’Ucraina e la Bielorussia.
Si è così venuto a disegnare un quadro di luci e ombre, con un inquietante ritorno di queste ultime anche nei Paesi UE, dove movimenti nazionalisti e populisti tornano a minare democrazie rese fragili dalla pressione della crisi economica e dall’erosione della rappresentanza tradizionalmente affidata ad attori politici tradizionali, come partiti e sindacati. Una dinamica diffusa un po’ ovunque, che non ha risparmiato le mitiche democrazie scandinave e olandese, attraversa Paesi fondatori dell’UE come Francia, Belgio e Italia e sfrutta le difficoltà dei Paesi entrati recentemente nell’UE, tentati di far coincidere il ritorno alla sovranità perduta per decenni con derive nazionaliste, quando non xenofobe.
Due Paesi fra questi ultimi, Ungheria e Romania, hanno destato allarme nell’UE al punto da sollecitarne l’intervento per ricordare le regole condivise con la firma dei Trattati comunitari e proseguire in forme ravvicinate di monitoraggio sulla correttezza dei loro comportamenti.
È di qualche giorno fa, in particolare, il severo richiamo dell’UE al governo rumeno giudicato troppo disinvolto nei confronti della Corte costituzionale e dell’opposizione, dopo il tentativo in corso di esautorare il Presidente della Repubblica con il ricorso ad un referendum di dubbia correttezza. Il 18 luglio la Commissione UE non ha esitato a dichiarare pubblicamente che “la Romania deve garantire il rispetto dello Stato di diritto e dell’indipendenza giudiziaria per riconquistare la fiducia dei suoi partner dell’Unione Europea”. Parole severe e senza dubbio argomentate, che però vorremmo non fossero riservate solo a Paesi vincolati all’UE dalla necessità di un sostegno economico e per i quali è più facile “monitorare” i comportamenti democratici.
Non sfugge infatti a nessuno che, in questa grave congiuntura di crisi, non solo finanziaria e economica, ma anche sociale e politica continua a indebolirsi, nei Paesi UE, la democrazia rappresentativa e non sono sufficienti anche generosi movimenti di democrazia partecipativa a salvaguardare importanti elementi di democrazia sostanziale. Le pressioni subite dalla Grecia, dal Portogallo e dalla Spagna, oggi interessata a forti movimenti di protesta, ma anche dall’Italia per l’adozione di pesanti misure anti-crisi ispirate se non dettate dalla Banca Centrale Europea (BCE), da Bruxelles, o addirittura di Berlino, mal si conciliano con il normale esercizio del mandato parlamentare a fronte di governi tecnici privi di una legittimità democratica diretta o di governi privati di ogni libertà di manovra.
Un tema scottante che sarà inevitabilmente all’ordine del giorno nei prossimi mesi, e non solo in Italia.

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