Dal Parlamento europeo segnali per l’Italia

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Nonostante che nel tempo il Parlamento europeo abbia rafforzato il suo potere a partire dalle prime elezioni a suffragio universale del 1979, accrescendolo via via con le successive riforme dei Trattati fino a quello di Lisbona del 2009, attualmente in vigore, resiste nell’opinione pubblica la percezione di un’Istituzione ancora poco influente nella vita politica dell’Unione Europea.

Si tratta di una valutazione sempre più lontana dalla realtà, tanto per quanto riguarda il ruolo svolto dal Parlamento nella procedura decisionale quanto nella formazione di un progressivo quadro politico comune europeo.

Il Trattato di Lisbona ha notevolmente aumentato i poteri del Parlamento ben oltre un ruolo consultivo come nei primi tempi della Comunità europea, associandolo direttamente nel processo decisionale ai poteri dei governi nazionali riuniti nel Consiglio dei ministri UE per tutte quelle materie di competenza comunitaria, anch’esse cresciute di Trattato in Trattato.

Non si esaurisce però qui l’impatto crescente del Parlamento di Strasburgo, in particolare nelle dinamiche che agitano le intese tra i Gruppi parlamentari e inflettono in modo significativo le alleanze europee, fino a ripercuotersi sul quadro politico nazionale.

Di questo straripamento dal livello europeo a quello nazionale ne sa qualcosa l’Italia, come dimostrano episodi recenti: uno che condusse alla caduta del governo giallo-verde e altri dei giorni scorsi che hanno mandato segnali ancora flebili di possibili movimenti futuri.

Nel primo caso si trattò dello spostamento dei Cinque stelle verso l’alleanza “europeista” che nel 2019 portò al vertice della Commissione europea Ursula von der Leyen e contribuì alla rottura in Italia dell’alleanza tra Giuseppe Conte e Matteo Salvini, con il successivo cambio di maggioranza.

Nei giorni scorsi qualcosa di simile, anche se di minore portata, si è manifestato a Strasburgo nella sessione plenaria appena conclusa, prima nel voto sulla condanna della Russia e, poco dopo, nelle misure proposte per sanzionare il comportamento dell’Ungheria.

Nel primo caso si è assistito sulla condanna alla Russia, non senza sorpresa, ad una vicinanza tra l’astensione dei Cinque stelle e il voto contrario di tre rappresentanti del Partito democratico: qualcuno ha voluto vedervi un segnale di un possibile avvicinamento tra i due Partiti all’opposizione in Italia, dove restano duramente in competizione tra di loro, ma in una prospettiva che non esclude possibili intese future, tanto a livello locale che nazionale.

Nel secondo caso si è riprodotta a Strasburgo una frattura all’interno dell’attuale maggioranza di governo italiana con Forza Italia, che ha votato in favore delle sanzioni proposte contro Viktor Orban, mentre contro hanno votato i rappresentanti della Lega e di Fratelli d’Italia. 

In entrambi i casi si tratta di smottamenti non comparabili con la frana che travolse nel 2019 il governo giallo-verde, non solo per i modesti numeri in questione ma soprattutto per la diversa consistenza delle due maggioranze, quella fragile giallo-verde e quella di oggi, solidamente dominata da Fratelli d’Italia.

Non è il caso di trarre conclusioni affrettate da queste fibrillazioni tra le forze politiche presenti nel Parlamento di Strasburgo, ma non va nemmeno dimenticato che siamo ormai a meno di due anni dalle prossime elezioni europee, un appuntamento che già in passato aveva annunciato svolte politiche trasferitesi poi nel quadro politico nazionale.

Tutto questo muove ancora con discrezione sotto traccia, ma intanto comincia a muovere.

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