Covid-19 spinge avanti l’Unione Europea?

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Che la pandemia da Covid-19 abbia mosso molte cose in Italia e in Europa è già un’evidenza, meno evidente è ancora il senso del cambiamento. Vale per l’Italia, per l’Europa e per il mondo anche se è prematuro annunciare che “niente sarà più come prima” non sapendo se sarà meglio o peggio e quando tutto questo futuro incerto si assesterà.

Di questa incertezza ne sa qualcosa l’Unione Europea, alle prese con decisioni difficili da prendere, qualcuna già attiva ma con le più importanti ancora in attesa di una condivisione tra Stati membri, gelosi di una loro presunta sovranità che la pandemia ha rivelato sempre più inadeguata.

Cominciamo dalle decisioni, anche significative, già prese da parte delle Istituzioni europee. Prima fra tutte, in ordine di tempo e di importanza, quelle della Banca centrale europea (BCE) che, avvalendosi della sua indipendenza e del voto a maggioranza, è venuta in soccorso alle finanze pubbliche nazionali con un volume importante – presto attorno a 1000 miliardi di euro – di acquisti di titoli di Stato, allentando così la tensione sui mercati finanziari, come ha potuto costatare tra gli altri l’Italia.

Contemporaneamente la BCE, proseguendo sulla strada tracciata da Mario Draghi, ha anche richiamato i governi europei ad assumere le loro responsabilità in materia di politiche fiscali senza affidarsi alla sola politica monetaria europea. Un richiamo precedente alla discussa sentenza della Corte costituzionale tedesca che da una parte ha innescato una pericolosa tensione con la Corte europea di giustizia ma ha anche aiutato la Cancelliera Angela Merkel a fare un passo avanti verso una prima condivisione del debito indotto dalla crisi economica da Covid-19. Viene anche da questi movimenti la proposta franco-tedesca di un Fondo europeo di 500 miliardi di euro per il rilancio.

Nel frattempo il dialogo tra la Commissione europea e il Consiglio dei ministri, in particolare nella sua formazione di Eurogruppo dei ministri delle finanze dell’eurozona, aveva prodotto alcune altre decisioni di rilievo. A cominciare da quelle di natura regolamentare contenute nella sospensione del Patto di stabilità e nell’attenuazione delle regole di contrasto agli aiuti di Stato, la cui attivazione però rischia di accelerare situazioni di squilibrio all’interno del mercato unico, favorendo i Paesi con maggiori disponibilità finanziarie: come nel caso della Germania che ha potuto approfittare di oltre metà degli aiuti di Stato autorizzati da Bruxelles per tutta l’Unione.

A fianco di questi interventi vanno segnalate le risorse comunitarie destinate al sostegno dei meccanismi europei di Cassa integrazione per un volume provvisorio di 100 miliardi di euro, all’attivazione di 200 miliardi di prestiti da parte della Banca europea per gli investimenti (BEI) e alla disponibilità di 240 miliardi di euro grazie allo strumento rivisto del Meccanismo europeo di stabilità (MES), con condizionalità ridotta alla sola destinazione sanitaria, diretta e indiretta, con prestiti a tasso d’interesse vicino allo zero e con scadenza decennale. Uno strumento quest’ultimo oggetto di miopi polemiche politiche da parte di alcune forze di maggioranza e di opposizione in Italia, pronte a rinunciare a un volume di prestiti per circa 36 miliardi di euro in nome di un presunto interesse nazionale.

Nel giro di poco più di un mese l’Unione Europea si è fatta carico di un volume di prestiti a tasso agevolato superiore a mezzo miliardo di euro, in attesa di portare sul tavolo del Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo la proposta della Commissione di un “Piano per la ripresa”, atteso in questi giorni, che potrebbe consentire di triplicare questo volume di risorse. E’ a questo punto che si inserisce la proposta franco-tedesca, citata sopra, di attivare un Fondo di titoli di debito europei per un valore di 500 miliardi da parte della Commissione europea, con garanzia a carico dell’insieme degli Stati membri e destinazione per contributi a fondo perduto in favore dei Paesi con maggiori difficoltà.

Tocca adesso alla Commissione europea formulare la sua proposta di “Piano per la ripresa” trovando un punto di convergenza tra i suoi orientamenti in favore di un bilancio 2021-2027 rafforzato, la proposta franco-tedesca, sostenuta da una maggioranza di Stati membri, e la proposta riduttiva dei quattro Paesi “frugal-rigoristi” (Austria, Danimarca, Olanda e Svezia), contrari tanto alla condivisione del debito quanto  all’attivazione di contributi a fondo perduto e a un rafforzamento del bilancio, insistendo inoltre per condizionare l’intervento europeo all’obbligo di riforme a fronte dei prestiti ottenuti.

Non sono senza importanza a questo proposito, in vista dei prossimi passaggi, le raccomandazioni che la Commissione europea ha proposto la settimana scorsa al Consiglio dei ministri per le future politiche fiscali dei Paesi membri, dove all’Italia si raccomanda di perseguire politiche di bilancio che “assicurino la sostenibilità del debito, incrementando nel contempo gli investimenti” e di darsi come priorità il rafforzamento del sistema sanitario, il lavoro e l’accessibilità al sistema di protezione sociale, con investimenti sulla politica ambientale e la digitalizzazione. Chiamare queste priorità “obiettivi” invece che “condizioni” potrebbe essere pura cortesia istituzionale.

La vigilia della decisione finale, attesa entro luglio, quando la Germania avrà assunto la presidenza semestrale dell’UE, è segnata da una comprensibile tattica negoziale, dove le due parti alzano la posta in vista di un compromesso spendibile con i rispettivi elettorati nazionali: disponibile la Germania a temperare le proposte quantitative per resistere sulla natura degli strumenti adottati; non così coesi politicamente tra loro i “frugal-rigoristi” per riuscire a tenere il punto, con due di loro fuori dalla moneta unica. Senza dimenticare inoltre che insieme questi quattro Paesi detengono appena 1/3 del PIL di Francia e Germania, con una popolazione complessiva che rappresenta meno di 1/10 della popolazione europea. Numeri che certo non bastano a chiudere la partita, ma che possono contare.    

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