Russia e Cina dicono no alla Risoluzione dell’ ONU sulla Siria

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Il veto russo e cinese al Consiglio di sicurezza dell’ONU sulla Risoluzione di condanna del regime siriano era previsto e ha giustamente sollevato un’ondata d’ indignazione fra gli altri paesi e nella comunità internazionale. Non era la prima volta, visto che già nell’ottobre scorso il Consiglio di sicurezza si era piegato di fronte alle intransigenze dei due paesi, restii su tutta la linea a condannare un dittatore che, mentre si votava all’ONU, continuava a massacrare il suo popolo, facendo più di duecento vittime a Homs.

Una situazione che indebolisce gli sforzi diplomatici, in particolare della Lega araba, allenta l’isolamento della Siria e rimette seriamente in discussione il meccanismo di funzionamento del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Le dichiarazioni che provengono dagli Stati Uniti e dall’Unione europea indicano la ricerca di altre soluzioni e la costituzione di altri meccanismi di pressione per poter rispondere alle esigenze del popolo siriano e mettere fine alle violenze, ma mai come ora si è dovuto assistere all’impotenza della comunità internazionale di fronte ad un paese che è ormai chiaramente scivolato nella guerra civile.

Sono due veti che sembrano rimescolare le carte della geopolitica e degli interessi militari ed economici e che portano il confronto in una delle zone più calde del pianeta, dove accanto ai recenti avvenimenti della Primavera araba e dei suoi sbocchi ancora molto incerti, soffiano venti insistenti e pericolosi di guerra tra Israele e Iran. Un Iran che, oltre ad essere un importante fornitore di petrolio (per la Cina in particolare), non nasconde il suo sostegno al regime di Bachar al Assad. Non a caso, dopo il voto all’ONU, molti commentatori e molti media non esitavano a parlare di un nuovo scenario da guerra fredda.

Anche le situazioni interne di Russia e Cina fanno riflettere. In Russia, in particolare, si sta organizzando un’opposizione al regime di Putin come non si era mai visto dalla caduta dell’Impero sovietico. Le elezioni presidenziali sono previste per il prossimo 4 marzo e le richieste di elezioni corrette e trasparenti si alternano con quelle di decisa condanna del regime e le richieste che Putin se ne vada. Una situazione che il Cremlino tende ad affrontare sia con la repressione dei manifestanti sia portando in piazza, più o meno volontariamente, i suoi sostenitori. La campagna elettorale è appena iniziata e, a giudicare dalle manifestazioni dello scorso sabato, non si profilano giorni tranquilli in Russia.

Ma anche il regime di Pechino è alle prese con una dissidenza interna che cerca di controllare, impedendole di svilupparsi attraverso Internet e le reti sociali, arrestando, sotto vari pretesti, chi critica il regime. E’ la lezione più recente che viene appunto dalle Primavere arabe e dal pericolo che esse possano ispirare e generare più vasti movimenti sociali. In prospettiva, nell’autunno 2012 ci sarà il XVIII Congresso del Partito comunista cinese che dovrebbe portare ad un cambiamento della squadra dirigente attuale.

Ma al di là delle ragioni del veto russo e cinese e delle conseguenze che generano o che potrebbero generare, resta da vedere ora come si muoverà la comunità internazionale. C’è da augurarsi che gli Stati Uniti, come hanno fatto sapere mettano in campo gli strumenti necessari per una transizione pacifica e democratica, ricorrendo anche al blocco dei finanziamenti e delle forniture d’armi russe alla Siria. Il Qatar ha fatto sapere che potrebbe mettersi alla testa di paesi pronti ad aiutare l’opposizione siriana anche con la fornitura di armi. Una situazione che lascia, ancora una volta, con il fiato sospeso.

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