Chi prende in ostaggio il bilancio UE?

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Adesso all’Unione Europea viene intimato: “o la borsa o la vita”, quella democratica in particolare. A farlo sono due schieramenti che convergono sul risultato finale ma collocati su due fronti opposti: i “Paesi frugali” (Olanda, Paesi nordici e altri) da una parte, la banda di Visegrad (Polonia e Ungheria, in particolare) dall’altra. Proviamo a capire questa singolare operazione che ha tutta l’aria di una presa in ostaggio dell’UE da parte di entrambi i fronti.

Oggetto del contendere il bilancio UE 2021-2027 e, dentro questo, i 750 miliardi di euro aggiuntivi del “Recovery Fund”, il “Piano per la ripresa” (battezzato in Italia “Piano nazionale per la ripresa e la resilienza – PNRR).

I “Paesi frugali”, e non solo, ne bloccano per ora l’adozione perché non li soddisfa l’ambiguità con la quale viene affrontata la condizionalità del rispetto democratico per l’accesso ai fondi europei da parte di Polonia e Ungheria; questi ultimi si associano al blocco del bilancio per ragioni opposte, ritenendo inaccettabili le condizioni poste da Bruxelles per l’utilizzazione delle risorse comunitarie. Le due opposizioni convergono nel rallentare l’adozione del bilancio e la sua attivazione a inizio 2021, risultato che non dispiace ai “frugali”, ma non è certo gradito da molti che di quelle risorse hanno bisogno, come è anche il caso di Polonia e Ungheria.

Sul nodo centrale del problema è intervenuto con forza il Parlamento europeo, dal quale dipende anche l’approvazione del bilancio, rivendicando maggiore severità verso i Paesi che minacciano la vita democratica dell’Unione, come denunciato dal recente Rapporto della Commissione europea sulla democrazia nell’UE. 

A trovarsi chiusa in questa trappola è in particolare l’Italia che ha urgente bisogno di risorse (alle prese con un incomprensibile rinvio di una decisione per l’accesso ai 36 miliardi di euro del Meccanismo europeo di stabilità, il “famigerato” MES), ma schierata con chi è preoccupato per il futuro della democrazia in Europa. Potrebbe dare una mano Giorgia Meloni, appena diventata Presidente del Gruppo dei Conservatori al Parlamento europeo, facendo pressione sui suoi colleghi polacchi, ma è improbabile che il tema le stia a cuore e che abbia rapporti di forza favorevoli; qualcosa potrebbe anche fare il Partito popolare europeo (PPE) nei confronti del premier ungherese Viktor Orban, e sarebbe anche ora che si decidesse a farlo.

In questa situazione la presidenza di turno tedesca ha ottenuto un accordo a maggioranza in favore del progetto di bilancio sul tavolo e approvato in linea di principio dal Consiglio europeo del 21 luglio scorso: un principio appunto, non la fine ancora di questa avventura che tanto entusiasmo ha sollevato nell’estate e che adesso deve affrontare i difficili negoziati dell’autunno, con la speranza che la proposta non venga congelata in inverno quando, entro il 31 dicembre al più tardi, sarà necessario prendere una decisione da adottare all’unanimità tra i Ventisette e ottenere l’approvazione del Parlamento europeo.

Ancora una volta si manifesta qui la complessità del processo decisionale  comunitario ancora esposto alla deriva intergovernativa, cavalcata a turno da chi vuol fare prevalere gli interessi nazionali, protetto dalla regola dell’unanimità che certo non protegge la solidarietà e la coesione europea. Sarà interessante vedere come se ne usciranno da questa ragnatela il Parlamento europeo che sul tema della democrazia ha alzato la voce e non può perdere la faccia e l’ambiziosa presidenza di turno tedesca che finora non è riuscita a convincere Ungheria e Polonia sul rispetto dello stato di diritto, ma che deve a tutti i costi portare a casa un accordo senza il quale si depotenzia la “storica” decisione del Consiglio europeo di luglio, si bloccano risorse importanti per Paesi in difficoltà, come l’Italia, e si contribuisce a ridare fiato alle forze sovraniste che erano state messe all’angolo in questi ultimi tempi.

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