Cambi al vertice in Iran e Israele

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Si erano appena spenti i riflettori sul viaggio di Joe Biden in Europa, con tutte le prospettive di cambiamento in tema di politica estera degli Stati Uniti, che appaiono all’orizzonte nuovi scenari in Medio Oriente che richiamano l’attenzione della comunità internazionale.

In primo luogo va segnalata la formazione di un nuovo Governo in Israele senza la presenza del Likud e del suo leader Benjamin Netanyahu. A guidare questo nuovo Governo, approvato dalla Knesset con un solo voto di maggioranza e composto da una coalizione di ben otto partiti, è Naftali Bennett, un ex leader dei coloni e proveniente dall’estrema destra religiosa. 

Dopo due anni di difficoltà e quattro tentativi elettorali, la formazione di questo nuovo Governo conferma l’orientamento a destra di Israele, anche se in questa nuova coalizione partecipano partiti di centro e di sinistra. La grande novità consiste tuttavia nella partecipazione, per la prima volta, di un partito arabo-israeliano, Ra’am, la Lista araba unita che rappresenta parte dei cittadini arabi di Israele. Non sarà facile tenere unita una tale varietà di componenti e la fragilità del nuovo Governo è, fin dall’inizio, percepibile. Ed è proprio tenendo conto di questa fragilità che il premier Bennett ha deciso di concentrare l’azione di Governo sui problemi interni del paese, dal superamento della pandemia alla ripresa economica e all’attenuazione del divario sociale sempre più marcato. Messi da parte per il momento i problemi più sensibili, dal problema degli insediamenti dei coloni al rapporto con i palestinesi e, cosa che sta a cuore a Bennett, all’annessione di parti della Cisgiordania occupata. Problemi messi in sordina anche se il conflitto tra Israele e Hamas non trova tregua, visti gli attacchi di questi ultimi giorni.

Sul fronte esterno si profilano tuttavia alcune priorità, dal consolidamento del rapporto con gli Stati Uniti e con il nuovo Presidente democratico Biden all’ampliamento degli accordi di pace con i Paesi del Golfo, non ultimo con l’Arabia Saudita. 

Le relazioni sullo scacchiere regionale portano a considerare i risultati delle recenti elezioni presidenziali in Iran, Paese con il quale Israele intrattiene rapporti tesi e altamente conflittuali. Le elezioni, tenutesi il 18 giugno, hanno visto la vittoria dell’ultraconservatore Ebrahim Raisi, persona dal passato poco sensibile a temi quali i diritti umani e senza attenzione alle aspirazioni di libertà di una società civile già pesantemente repressa.  Una vittoria scontata, segnata dall’esclusione dei candidati riformisti e moderati e da una pesante astensione al voto. Un voto che interviene tuttavia in un clima in cui i difficili rapporti con gli Stati Uniti, aggravati dalle pesanti sanzioni della precedente amministrazione Trump, hanno portato il Paese in gravi difficoltà economiche e sociali. Obiettivo del nuovo Presidente è quello, fra altri, di allentare la morsa delle sanzioni e riaprire i negoziati sul nucleare.

Il punto centrale del filo che corre nei cambiamenti politici in Israele e in Iran è quindi il futuro dell’accordo sul nucleare iraniano. Considerato da Israele come una linea rossa da non superare e una minaccia che si insinua nelle turbolente e conflittuali relazioni fra i due Paesi, il nucleare iraniano è tornato sul tavolo della nuova amministrazione Biden, con l’intenzione di tessere un nuovo dialogo fra Washington e Teheran, cosa che non mancherà di segnare la stabilità nella regione. Al riguardo, come precedentemente avvenuto con la firma dell’accordo del 2015, l’Unione Europea potrebbe avere un ruolo significativo, visto che si tratta di stabilità e pace ai suoi confini meridionali.

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