Buon anno, Europa!

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A guardare come va il mondo, il 2007 non è stato un cattivo anno per l’Unione europea. Cominciato con l’accoglienza di due nuovi Paesi, Romania e Bulgaria, si è concluso a dicembre con l’eliminazione di controlli a quasi tutte le sue frontiere interne: due scadenze onorate in condizioni problematiche, visto il diffondersi nei nostri Paesi di atteggiamenti di chiusura se non addirittura di esplicito razzismo.
E così, nonostante questi tempi grami per la solidarietà   e il dialogo, 24 dei 27 Paesi dell’UE (all’appello mancano Regno Unito, Irlanda e Cipro) sono entrati nello «spazio di Schengen» aprendo frontiere drammatiche nella storia dell’Europa, come quella tra la Germania e la Polonia.
Tra quelle due date si sono espresse, al meglio di quello che poteva «passare il convento», due presidenze dell’UE: prima quella tedesca, che ha pilotato il passaggio tra il defunto Progetto di Trattato costituzionale verso il futuro Trattato emendato, e poi quella portoghese, che ne ha portato a compimento la formale adozione da parte di tutti gli Stati membri, anche se con i soliti mal di pancia del Regno Unito di Gordon Brown e della Polonia dei fu gemelli Kaczynski. Di mezzo s’era messo anche il neo-presidente francese Nicolas Sarkozy, quello che invocava un nuovo Trattato semplificato e che ci ha fruttato un vecchio Trattato emendato, anzi due, per complessivi 400 articoli e, per fare buon peso, l’aggiunta di un numero di Dichiarazioni e Protocolli difficile da calcolare.
Come al solito, c’è chi vede in questo risultato il bicchiere mezzo pieno e chi il bicchiere mezzo vuoto. Chi, come noi, aveva apprezzato pur criticandolo il compromesso raggiunto con il Progetto di Trattato costituzionale non ha molti motivi per esaltare i risultati raggiunti. Certo, con l’aria che tira in questa Europa, incerta sul suo futuro e poco coraggiosa, poteva anche andare peggio. Ma è almeno altrettanto vero che questa Unione meritava di meglio, se si considerano le sfide che l’attendono tanto nella competizione globale con i suoi rischi di devastazione sociale quanto nella sua coesione interna non solo economica ma anche e ancor più politica in questa stagione di nazionalismi centrifughi.
Il bilancio dell’UE nel 2007 guadagna perಠqualche punto se si pone attenzione alle iniziative sviluppate nel settore della ricerca e dell’energia e sul tema scottante dell’immigrazione e, sul versante planetario, alla tenacia nel difendere le esigenze ambientali e alla conclusione vittoriosa all’ONU sulla moratoria della pena di morte.
Ma ormai siamo alle sfide del 2008: non sono nà© poche nà© di tutto riposo. A cominciare dal processo di ratifica del Trattato emendato che potrebbe riservare ancora qualche sorpresa fino al posizionamento dell’UE nello scacchiere mondiale.
Qui incombe fin da subito la vicenda complicata del Kosovo per il quale l’UE, insieme agli USA anche se con qualche distinguo, sostiene una forma temperata di indipendenza rifiutata dalla Serbia e dalla Russia: ingredienti questi che possono dar fuoco alla miccia dei conflitti etnici nei Balcani con esiti da non sottovalutare.
Poco più lontano di lì continuano le tensioni in Medio Oriente: dall’Iraq (alle cui frontiere si aggiunge lo scontro armato tra turchi e curdi) all’Iran fino all’aggravarsi del conflitto israelo-palestinese ai confini di un Libano pericolosamente instabile. Non molto più lontano pesa per l’UE l’irrisolto problema dei suoi nuovi rapporti con l’Africa, continente dimenticato ma in corso di riscoperta soprattutto da Cina e India.
Su questo sfondo andranno anche seguiti gli sviluppi del progetto di Unione del Mediterraneo, precipitosamente declamata da Sarkozy e guardata con qualche disagio dall’Italia e dalla Spagna ma osteggiata da molti altri Paesi dell’UE con la Germania in testa. Esempio di come una buona idea possa essere bruciata dall’ambizione sfrenata di qualcuno, sempre che non sia una variante della politica postcoloniale della Francia alla ricerca di un improbabile protagonismo nell’area.
Consapevole di questi e altri problemi che attendono una soluzione, il Consiglio europeo di dicembre ha, tra le altre cose, dato vita a un «gruppo di riflessione» ad alto livello. Memori forse degli «straripamenti» di cui si rese responsabile la Convenzione che elaborಠil Progetto di Trattato costituzionale, il Consiglio europeo ha delimitato con cura il mandato affidato ai «saggi» chiamati a riflettere, ma pregati di non spingersi a proposte troppo concrete. Così il «gruppo di riflessione» non dovrà   occuparsi del quadro istituzionale (quello appena adottato dovrebbe avere lunga vita), delle future prospettive finanziarie, delle politiche comuni e delle frontiere dell’Europa. Potrà   invece meditare sulla conciliazione tra crescita economica e solidarietà   sociale, la politica dell’immigrazione, la lotta al terrorismo, la protezione climatica e una migliore comunicazione con i cittadini.
Esigenza quest’ultima non proprio nuovissima e ad oggi piuttosto inevasa, come ampiamente provato dalla passata vicenda costituzionale e come, c’è da scommetterci, rischia ancora di accadere con il mancato coinvolgimento dei cittadini europei nella comprensione del Trattato di Lisbona in corso di ratifica e la cui entrata in vigore è prevista a inizio 2009.
Cioè alla vigilia delle prossime elezioni europee, scadenza alla quale sarà   bene che il progetto della «nuova Europa» sia comunicato con chiarezza, anche per non registrare ulteriori picchi di astensionismi e disaffezioni che a questa già   fragile Unione europea non farebbero certo bene.

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