Bilancio UE 2021-2027: le reazioni

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Sono bastate poche ore per capire che i timori sull’accoglienza del bilancio dell’Unione Europea per il periodo 2021-2027 erano più che fondati.

Lo sono stati su due versanti: quello del reperimento risorse, dopo il buco che lascerà Brexit, e quello della loro distribuzione in un’Unione divisa su tutto o quasi, figuriamoci sui soldi.

Ricapitoliamo. Il bilancio dell’UE, che nel periodo 2014-2020 rappresenta l’1% della ricchezza europea, si svilupperà come in passato su un periodo di sette anni dal 2021-2027 per il quale la Commissione europea ha proposto il 2 maggio scorso di alzarne la percentuale sul PIL a un sempre modesto 1,11%, pari a un importo di 1.279,4 miliardi di euro, in progressione di quasi 200 miliardi sul settennato scorso.

Per raggiungere questo importo l’UE ricorre prevalentemente ai contributi nazionali, proporzionati alla ricchezza dei singoli Paesi membri con il complemento di risorse proprie, derivanti in particolare dalle imposte nazionali sul valore aggiunto (IVA) e sui dazi percepiti su importazioni provenienti dall’esterno dell’UE, in attesa di poter ricavare ulteriori risorse da entrate fiscali proprie dell’UE.

Inutile dire che quest’ultimo apporto resta problematico in un’Unione che non dispone di una propria capacità di imposizione fiscale, se non grazie ad un consenso unanime o ricorrendo a una procedura non facile da attivare, quella delle “cooperazioni rafforzate”, frutto di un’intesa tra un numero minimo definito di Paesi membri.

Senza troppo addentrarsi nei dettagli tecnici di questa procedura complessa e, per molti aspetti, non facilmente leggibile per i non addetti ai lavori – un limite non banale per una democrazia partecipativa – non stupirà nessuno il tentativo di sottrarsi a questi contributi, a cominciare da quei Paesi che, sotto la guida dell’Olanda, hanno annunciato di voler congelare la dotazione attuale e di quelli, come i Paesi di Visegrad (Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica ceca), che temono i vincoli di solidarietà e dello Stato di diritto imposti dall’UE per l’accesso alle risorse disponibili.

E sul versante della ripartizione delle risorse disponibili non si è fatto attendere il fuoco di fila dei destinatari del bilancio, in particolare per la sua articolazione interna che prevede una forte riduzione dei capitoli relativi dei Fondi strutturali destinati all’agricoltura e alla coesione sociale e territoriale, decurtati il primo del 5% e il secondo del 7%, con una dotazione rispettivamente di 379 miliardi di euro e di 442,4 miliardi. Seguono in ordine di quantità decrescente i capitoli destinati al mercato unico, innovazione e digitale (187,4 miliardi), alla politica di vicinato e nel resto del mondo (123 miliardi), all’immigrazione e alla gestione delle frontiere (34,9 miliardi), all’amministrazione pubblica europea (85,3 miliardi) e alla sicurezza e difesa (27,5 miliardi).

L’aridità di queste cifre, che andrebbero analizzate peraltro disaggregate al loro interno, non deve impedirne una lettura politica se si vuole capire in quale direzione cerca di muoversi l’UE nei prossimi anni.

Premesso che, come è stato osservato, può essere ritenuto azzardato in questo mondo in rapido cambiamento prevedere dotazioni di bilancio da consumarsi a distanza di dieci anni, ma anche tenuto conto dei vantaggi di una programmazione di lungo periodo, balzano agli occhi le priorità a monte di questa proposta che continua a privilegiare un settore – quello agricolo – già ampiamente sostenuto in passato con misure troppo spesso “assistenziali” e penalizza pesantemente l’intervento in favore della coesione territoriale e sociale in un’Europa segnata da profonde e crescenti diseguaglianze che ne minano la coesione e il processo di integrazione faticosamente in corso.

Queste prime annotazioni sarebbero però monche se mancasse un riferimento a tre novità di significativo rilievo economico e politico: il forte incremento di risorse per la ricerca e l’innovazione e le nuove dotazioni per due capitoli aperti sul futuro dell’UE: quello della sicurezza e difesa e quello a sostegno dell’immigrazione e della gestione delle frontiere.

Chi crede in una svolta per l’Unione di domani potrebbe trovare qui le prime tracce di un cammino lungo e difficile ma che potrebbe evitare all’UE di avvitarsi su se stessa e rinunciare al suo futuro.

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