Bielorussia, all’incrocio fra Europa e Russia

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Il 9 agosto scorso, si sono tenute le elezioni presidenziali in Bielorussia, conferendo, per la sesta volta consecutiva dal 1994, la vittoria a Alexander Lukashenko. Una specie di sesto plebiscito da 80% dei voti a favore di un Presidente definito “l’ultimo dittatore d’Europa”.

Ma è stata anche una competizione elettorale nella quale si è intravista la coraggiosa presenza di un’opposizione appena tollerata, impersonata da tre giovani donne e in particolare da Svetlana Tikhanovskaya. Prima e dopo le elezioni ci sono state manifestazioni di piazza, duramente represse con la violenza, che hanno mandato un chiaro messaggio alla comunità internazionale:   il popolo bielorusso non è più disposto ad accettare il silenzio e la dittatura e ha il diritto di esigere un futuro di democrazia, di rispetto dello stato di diritto, di libertà di espressione e di uguaglianza.

Valori tutti da conquistare per un popolo il cui Paese si ritrova, malgrado il percorso storico seguito da tanti suoi vicini, ancora fortemente legato alla vicinissima Russia e diffidente nei confronti di un’Unione Europea ancora troppo lontana. 

Si tratta infatti di un’opposizione che si situa nella prospettiva di quei valori, indipendente ed unita per il futuro del suo Paese, senza per questo mettere a confronto, come successo soprattutto nella recente storia dell’Ucraina, Russia e Unione Europea, privilegiando in primo luogo la preparazione di un terreno fertile al dialogo e rispettoso delle esigenze di trasparenza e partecipazione democratica. Percorso di difficilissimo equilibrio geopolitico vista non solo la dipendenza del Paese dalla Russia, sia in termini economici che energetici, ma anche e soprattutto perché la Russia di Putin è nostalgicamente impegnata a mantenere quello spazio di influenza e presenza attorno alle sue odierne frontiere. 

Il primo tentativo dell’opposizione volto a spianare il terreno del dialogo è stato quello di creare un Consiglio di coordinamento dell’opposizione, immediatamente denunciato dalle autorità bielorusse che non hanno esitato a minacciare i rappresentanti dell’opposizione per arginare le continue e massicce manifestazioni popolari. Ma, anche se represso e considerato un pericolo per la sicurezza nazionale da Lukashenko, si tratta pur sempre di uno strumento di offerta di dialogo per una futura e condivisa transizione di potere.

Ed è sul binario della mediazione che sembrerebbe infatti muoversi la diplomazia della comunità internazionale e in particolare del l’Unione Europea. Dopo aver dichiarato di non riconoscere i risultati dello scrutinio elettorale,  di sostenere le legittime rivendicazioni degli operai in sciopero e dei manifestanti e di prevedere sanzioni contro i responsabili delle violenze, l’Unione Europea si è fatta portavoce, in particolare attraverso il Presidente Macron, di un sostegno a questo dialogo. “Un dialogo che dovrà essere tuttavia condiviso, in modo sincero e costruttivo, con la Russia e in presenza dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa)”. Un invito al quale la Russia, nelle parole del suo Ministro Lavrov, sembra non essersi  sottratta.

Intanto le manifestazioni continuano, nella speranza che questo difficile dialogo rappresenti effettivamente un passaggio verso quel futuro che i bielorussi reclamano a gran voce. Non solo, ma anche un nuovo dialogo fra Russia e Europa. 

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