Di questi tempi, fare gli auguri all’Italia e all’Europa sa più di compassionevole conforto che di convinta fiducia. Ma non è un motivo per rinunciarvi, viste le sfide che ci attendono nei prossimi mesi.
L’Europa è ormai entrata in una difficile vigilia elettorale: di qui al voto di fine maggio per il Parlamento europeo crescerà il confronto tra forze politiche e movimenti nel tentativo di ridisegnare il futuro dell’Europa o, per alcuni, di mettere fine all’avventura dell’integrazione europea. C’è da aspettarsi che i toni salgano e che sul banco degli accusati ci sia soprattutto l’euro, una moneta che lega 18 Paesi membri dell’UE, additata da molti tra i responsabili del tunnel in cui si è infilata l’UE.
Sarà bene allora non dimenticare che tra i principali responsabili della crisi ci sono anche quei governi nazionali che si sono chiusi a riccio nella difesa dei propri interessi, dimenticando che la difesa dell’euro era e resta nell’interesse di tutti e che è illusorio per tutti, Germania compresa, pensare di potersi salvare da soli. Senza dimenticare che difendere l’euro vuole anche dire portarne a compimento il disegno, quello di collocarlo in un’Unione politica di cui l’euro è un mezzo e non il fine.
Si dice essere questa Europa un gigante economico e un nano politico: un luogo comune ingannevole, vista la fragilità della sua economia e l’assenza di un profilo politico. Più giusto pensarla come un corpo che si dilata – tra non molto supereremo la soglia dei 30 Paesi membri – e un’anima che si va rimpicciolendo, con i suoi ideali fondativi che si vanno inaridendo, incapaci di parlare ai suoi popoli. Se a questo si aggiunge il gigantismo burocratico e il nanismo sul piano internazionale diventa chiaro che il migliore augurio che possiamo fare all’Europa è quello di ritrovare la sua vocazione originaria alla pace e alla solidarietà, di promuovere il lavoro, di semplificare le sue istituzioni e procedure, abbattere gli idoli della tecnocrazia e diventare essa stessa più autenticamente democratica prima di dare lezioni di democrazia e di rispetto di valori universali – scambiandoli con i propri valori – al resto del mondo.
Dopo aver affossato nel 1954 la CED (Comunità europea della difesa), un primo abbozzo di Unione politica, l’augurio è di mettere in cantiere una nuova CED, una Comunità europea democratica, prima che i venti del populismo, del nazionalismo e della xenofobia spazzino via quello che rimane del disegno coraggioso dei Padri fondatori.
E quale augurio fare all’Italia? La lista sarebbe lunga, tante sono le difficoltà di questo nostro Paese.
L’interminabile crisi che viviamo ci ha precipitati in una forma inedita di “dopoguerra”, segnata dalle macerie del lavoro perduto, dell’economia stagnante e di una politica più stagnante ancora. I pochi fremiti di ripresa non annunciano un ritorno significativo di occupazione e i deboli segnali di novità nella politica tardano a tradursi in un suo risanamento.
A questa Italia l’augurio è di ritrovare il coraggio e la voglia di ricostruire, come avvenne nell’altro “dopoguerra”, rimboccandoci tutti le maniche, senza però illuderci di poter fare da soli. Come allora, è di nuovo il momento di ricostruire la “casa comune” europea e ritornarne fondatori, come all’inizio degli anni ’50, chiedendoci che cosa possiamo fare per l’Europa, prima di chiedere all’Europa che cosa può fare per noi.
Tanti auguri ItaliaEuropa, nell’anno che viene ne avrai bisogno.