Attenzione ai regali di Natale in provenienza da Hong kong

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Capita spesso che i Paesi asiatici ci riservino sorprese spiacevoli: dall’assalto commerciale che dura da anni e continuerà   in futuro fino ai virus dell’influenza aviaria che sta seminando il panico nei Paesi ricchi con grande gioia per le industrie farmaceutiche che stanno incassando grandi profitti in Borsa ancor prima di aver prodotto un vaccino utile. Ma altri pesanti rischi potrebbero aggiungersi a questi, in provenienza da Hong Kong, dove dal 13 al 18 dicembre si svolgerà   la Conferenza ministeriale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) cui parteciperanno i rappresentanti di 148 Paesi.
Come è noto, l’OMC nata nel 1995 dall’Accordo Generale sulle Tariffe e sul Commercio (GATT), ha il compito di sorvegliare l’applicazione degli accordi commerciali internazionali e promuovere la libertà   e la competitività   degli scambi commerciali. Nel dicembre 2001 a Doha (Quatar) l’OMC ha lanciato un nuovo ciclo di negoziati con l’obiettivo dichiarato di liberalizzare gli scambi e di contribuire allo sviluppo dei Paesi più poveri. Nel settembre 2003 a Cancun i negoziati non sono riusciti a trovare un compromesso sul tema sensibile – soprattutto per i Paesi in via di sviluppo – dell’agricoltura. Due gruppi di Paesi, il G20 (tra i quali Brasile, India e Cina) e il G90 (che raccoglie i Paesi meno sviluppati) hanno resistito alle proposte di Stati Uniti e Unione europea, giudicate eccessivamente protezioniste.
I negoziati sono ripresi nell’estate del 2004 e alla vigilia dell’incontro di Hong Kong il capitolo agricolo resta uno degli ostacoli maggiori sulla via di un’intesa.
Si tratta di una trattativa complessa e con molti interessi che di volta in volta si intrecciano e si oppongono. Per semplificare si potrebbe così riassumere il contenzioso sul tavolo: da una parte i Paesi ricchi cui fanno gola i mercati dei prodotti industriali e dei servizi del resto del mondo, i Paesi emergenti (quelli del G20) che chiedono di poter penetrare maggiormente con i loro prodotti industriali, ma anche agricoli, sui mercati dei Paesi ricchi e i Paesi poveri che non hanno molto da scambiare se non la loro agricoltura per la quale chiedono l’abbattimento delle barriere protezionistiche che impediscono ai loro prodotti di entrare sui mercati ricchi in particolare degli Usa e dell’Unione europea. Insieme con questa comprensibile rivendicazione i Paesi in difficoltà  , sostenuti dalle Organizzazioni non Governative (ONG), chiedono di non essere sommersi da prodotti provenienti da Paesi molto più competitivi, tra i quali sono compresi insieme con UE e USA anche i Paesi del G20.
A queste richieste, Usa ed Unione europea hanno risposto con la promessa che avrebbero soppresso i loro aiuti agricoli all’esportazione, senza peraltro impegnarsi sul calendario di realizzazione, ma mantenendo ancora un alto livello di protezione per la propria agricoltura. Evidentemente troppo poco a fronte della loro richiesta di abbattere le protezione per la liberalizzazione dei servizi e non stupisce quindi che Brasile e India abbiano già   risposto negativamente.
Su questo sfondo complicato ma decisivo per la sopravvivenza dell’economia di molti Paesi poveri si colloca il braccio di ferro in corso nell’Unione europea in particolare tra Francia e Gran Bretagna o, più generalmente, tra i Paesi del Sud dell’UE con importanti settori agricoli e quindi tendenzialmente protezionisti e i Paesi del Nord orientati ad un’ accelerazione del libero scambio nei settori dell’industria e dei servizi e meno interessati a proteggere le loro agricolture residuali.
A questo punto, chi ha a cuore le sorti dei Paesi poveri potrebbe essere tentato di guardare con favore a questo secondo orientamento maggiormente favorevole all’agricoltura di chi non ha molto altro da scambiare. Reazione generosa, ma un po’ miope. Da una parte perchà© usare la sola agricoltura come arma di scambio penalizzerebbe un settore da cui dipendono per noi anche sicurezza alimentare e difesa ambientale. Dall’altra parte perchà© questa riduzione di barriere è offerta in cambio di un’apertura degli altri mercati ai prodotti dei Paesi ricchi e ad un genere di prodotti ad alto valore aggiunto e quindi ad un alto tasso di profitti per chi li offre (e questo vale ancor più per i servizi che per l’industria) con alti costi per chi li compra e che magari sarà   in tal modo disincentivato dal produrli in proprio. Con il risultato che i Paesi poveri subiranno ulteriori ritardi verso un’economia più moderna, meno dipendente e più concorrenziale.
L’Unione europea, nata dalla solidarietà   di popoli resi poveri dalla guerra e cresciuta grazie alla solidarietà   tra economie che si sono tra loro rafforzate attraverso la libertà   degli scambi, dovrebbe avere imparato la lezione e oggi farne tesoro nel suo dialogo con il resto del mondo.
E se non lo fa l’Unione europea e se non lo fa adesso, chi e quando lo farà  ?
Alla vigilia di Natale ci auguriamo il regalo di qualche buona notizia e di un po’ di saggezza in provenienza da Hong Kong.

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