Apprensione per la democrazia in Senegal e per il futuro dell’Africa Occidentale

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Si sono spenti da pochi giorni i riflettori sul Vertice Italia-Africa e sui nuovi rapporti che l’Italia e l’Europa vorrebbero ridisegnare con l’insieme del Continente, una prospettiva che invita a guardare con nuova attenzione al nostro grande vicino a sud del Mediterraneo.

L’occasione è data dalla recente e inquietante decisione del Presidente del Senegal, Macky Sall, di rinviare le elezioni presidenziali, previste per il prossimo  25 febbraio, alla fine dell’anno. Tale rinvio, considerato un tentativo di “colpo di Stato costituzionale” dall’opposizione, rimette in discussione la lunga tradizione democratica del Senegal, considerato unico Paese nell’Africa Occidentale a non aver mai subito un golpe militare, il primo Paese a sperimentare il multipartitismo e sempre puntuale nel chiamare alle urne i cittadini senegalesi. 

Una decisione, quella del Presidente, che ha messo tuttavia in evidenza un’atmosfera politica molto tesa da almeno tre anni a questa parte, con pesanti tentativi di esclusione dalla corsa presidenziale di candidati dell’opposizione e con manifestazioni di piazza represse, con violenza, dalla polizia. Oggi, tale decisione non fa altro che seminare preoccupazione e forte incertezza politica nel Paese, fa temere sempre più un’involuzione autoritaria e suscita l’apprensione della comunità internazionale. 

Considerato finora Paese pilastro di stabilità in Africa Occidentale, il Senegal sta attraversando quindi un periodo di forte turbolenze dalle possibili conseguenze politiche ed economiche che si intrecciano fra di loro.

In termini politici, se il Senegal si avvia su una china autoritaria, verrebbe a mancare quel punto di stabilità in una regione fortemente provata dai colpi di stato militari. Dal 2021 si sono infatti susseguiti colpi di stato in Sudan, in Mali, in Guinea, in Burkina Faso, in Niger e in Gabon, con motivazioni complesse e varie che andavano dal deterioramento della sicurezza nazionale alla cattiva gestione sociale ed economica, dalla corruzione alla cattiva governance e ai tentativi di prolungamento dei mandati presidenziali. Senza dimenticare che questi colpi di stato hanno messo in ulteriore evidenza sentimenti anticoloniali, in particolare contro la Francia, e rivolto attenzione al sostegno offerto dalla Russia tramite le milizie della Wagner. 

Anche da un punto di vista economico, il Senegal è stato considerato, fino a poco tempo fa, un modello di crescita fra le economie africane. Secondo il Fondo monetario internazionale, le proiezioni per il 2024 si aggirano infatti intorno all’8 per cento, grazie allo sfruttamento di ingenti riserve di gas scoperte al largo delle sue coste. Una fiorente industria che ha permesso notevoli investimenti esteri e lo sviluppo di importanti infrastrutture, senza tuttavia portare risposte adeguate ad una popolazione giovane e alla ricerca di un futuro economicamente  e socialmente migliore.  

Le cifre ci dicono infatti che circa la metà della popolazione senegalese ha meno di 18 anni e la disoccupazione giovanile si avvicina al 20 per cento. Una popolazione che, senza risposte politiche ed economiche, guarda all’emigrazione e ad un approdo oltre il Mediterraneo.

La crisi politica in corso potrebbe rimettere in discussione quindi anche il futuro economico del Senegal e contribuire alla riduzione di quegli spazi di democrazia necessari allo sviluppo del Paese. Un campanello d’allarme anche per l’Europa e per l’Italia, perché la difesa della democrazia non venga meno nelle nuove strategie di cooperazione e di dialogo con l’Africa.

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