Se Cicerone fosse ancora tra noi, risentiremmo oggi la sua invettiva a Catilina: “Fino a quando abuserai della nostra pazienza?”. Soltanto che adesso sarebbero i cittadini europei a rivolgerla ai loro governanti.
A cominciare da Angela Merkel, da troppo tempo ossessionata dal rigore, con danni per l’Europa ormai difficili da calcolare e altri che potrebbero colpirci tra non molto se la sua ostinazione dovesse non venire meno.
Subito dopo sarebbe il turno dell’UE, troppo succube della Merkel e incapace di assumere iniziative comuni di contrasto alla crisi, senza dimenticare la Grecia e le sue responsabilità, purtroppo aggravate dalle incomprensioni dei partner europei, con la Germania in testa, troppo assecondata dalla Francia di Sarkozy e troppo subita da un’Italia che stenta a riemergere in un ruolo più incisivo in Europa.
Ce n’è quindi per tutti, anche solo a limitarci al mondo della politica, tralasciando quello della finanza e della speculazione che in queste mancate assunzioni di responsabilità nuota allegramente come un pesce nell’acqua. Quando poi i pesci sono squali e nuotano in acque senza regole, come ci ricorda ancora lo scandalo della J.P. Morgan, i risultati sono quelli che i mercati ci raccontano ogni giorno, senza che nessuno sembri in grado di porvi rimedio.
In Europa l’epicentro del terremoto resta ostinatamente la Germania della Merkel, uscita ammaccata dalle elezioni nel Nord Reno-Westfalia, dove la sua CDU ha subito un crollo di sei punti, senza spingerla verso un ravvedimento. A poco sono valsi anche i messaggi ricevuti dai ministri finanziari dell’Eurogruppo favorevoli alla permanenza della Grecia nell’euro e non molto di più sembra abbia ottenuto il neo-Presidente francese François Hollande, corso martedì a Berlino per rimettere in sesto il fragile asse franco-tedesco e ottenere qualche concessione dalla Cancelliera.
Con quello che sta capitando in Grecia alle prese con nuove elezioni, i rischi che corre la Spagna e con l’Italia non ancora del tutto fuori pericolo, Hollande ha messo acqua nel vino della campagna elettorale rinunciando per ora a rinegoziare il “fiscal pact”, accontentandosi di portare a casa qualche vago impegno sulla strada della crescita.
Su questo fronte appunto, dopo tante chiacchere e promesse, sembra adesso muoversi finalmente l’UE con la convocazione di un Consiglio europeo informale il 23 maggio per cercare, d’intesa con la Commissione e il Parlamento europeo, di dare contenuti alla crescita con qualche strumento concreto come i “project bond” per interventi mirati con il sostegno della Banca europea degli investimenti (BEI). Un primo passo in attesa che si arrivi un giorno, si spera da vivi, a quegli “euro bond” che, a giudizio ormai unanime – salvo la Merkel, sola e senza il sostegno di componenti importanti del Parlamento tedesco – potrebbero allentare la pressione del risanamento e dare respiro all’economia.
In questa situazione incerta, l’Italia ha le sue gatte da pelare con i partiti allo sbando, la disoccupazione che cresce, l’economia in recessione, il debito che torna ad aumentare con il suo carico di interessi – siamo ormai a 80 miliardi di euro all’anno – e le entrate fiscali che si riducono. Improbabile che con questi numeri si arrivi al pareggio di bilancio nel 2013: o viene riconsiderata la scadenza oppure bisognerà depurare il deficit dalle spese per investimenti.
Merkel permettendo, nella speranza che nel frattempo l’euro regga e la protesta sociale non prenda il posto di una pazienza ormai ai limiti.