Ancorare una nuova Italia a una nuova Europa

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È di pochi giorni fa la conclusione dell’ennesimo inconcludente Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo europeo. Noto come il “Consiglio di primavera”, dedicato ai temi dell’economia e dell’occupazione, non ha mantenuto nessuna delle sue promesse. Non ha avviato nessuna primavera per l’Unione Europea, paralizzata dal gelo tra gli ossessionati dell’austerità e quanti invocano flessibilità nei tempi e nella misura del risanamento, e non ha mandato segnali chiari in favore dello sviluppo e della ripresa del lavoro.

Tutto questo in un’Unione Europea che conta 26 milioni e 200mila disoccupati, dei quali 19 milioni nella sola eurozona.

All’Italia, che insieme agli altri Paesi del sud e con il sostegno della Francia, chiedeva di non essere strozzata da eccessivi vincoli di bilancio in considerazione del suo buon risultato nel contenimento del deficit, la Cancelliera Merkel ha dato una risposta che è un capolavoro di ambiguità. Ha elogiato l’operato di Monti, riconosciuto l’importanza degli investimenti pubblici per la ripresa economica del nostro Paese, ma si è mostrata irremovibile sul mantenimento della soglia insuperabile del 3% del deficit annuo, come previsto da quel “Patto di stabilità” che anni fa Romano Prodi bollò a ragione come “Patto di stupidità”.

Per Mario Monti si è trattato di un mesto addio a un Consiglio europeo, dove aveva fatto valere la sua personale credibilità per riscattare l’Italia dalla sua pesante immagine di Paese inaffidabile, avvalendosi anche e non poco dell’intervento di Mario Draghi, intervenuto con la Banca Centrale Europea a sollievo del debito pubblico italiano con oltre 100 miliardi di euro.

Lo sforzo di Monti di addolcire le posizioni tedesche in cambio di riforme severe in Italia si è rivelato politicamente un “boomerang” per la sua infelice avventura politica e per le sorti della sua “strana maggioranza” e non è certo stato l’ultima causa della recessione in cui è caduta in Italia e dalla quale non uscirà, se andrà bene, prima del 2014.

Questo dopo aver lasciato sulla strada – come ci ha appena ricordato l’ISTAT – tre milioni di disoccupati, dei quali 4 su 10 sono giovani, e abbandonando al rischio povertà un italiano su tre, avvedendosi questo governo e la Commissione europea un po’ troppo tardi che la cura da cavallo, in tempi di crisi come questa, sarebbe stata fatale a molti.

Dalle Istituzioni europee, sempre più in difficoltà a farci intravvedere la fine del tunnel, vanno ancora segnalati i messaggi di Mario Draghi e del Parlamento europeo.

Il primo che, per rassicurare i mercati e pensando di proteggere l’Italia, si è detto sicuro che da noi le riforme sarebbero proseguite “in automatico”, suscitando qualche perplessità tra chi pensa che non così si proceda in democrazia e proponendo, in occasione del Consiglio europeo, che in Italia si rivedano i contratti di lavoro per accrescere la competitività.

Il Parlamento europeo aveva a sua volta, alla vigilia dello stesso Consiglio europeo, criticato severamente il miserabile “Bilancio 2014-2020”, da quest’ultimo convenuto nella sua precedente riunione, minacciando di non approvarlo con il risultato, non privo di rischi politici, di impedirne l’adozione.

Come si vede una situazione che si sta avvitando e che richiede di essere sbloccata al più presto, così come è urgente che si sblocchi la situazione politica italiana se vogliamo restare in Europa e in questa Europa farci sentire per difenderne gli interessi che sono anche i nostri. Possibilmente con messaggi diversi da chi dice che ormai siamo fuori dall’euro, anche perché, se questo fosse davvero il rischio, sarebbe il caso di rientrarci di corsa prima che sia tardi.

Uscire dall’euro, oltre che insostenibile per noi e per l’UE, significherebbe fin da subito perdere contatto con i Paesi di testa che, con l’Unione bancaria e quella economica, si accingono a procedere verso l’Unione politica dalla quale l’Italia, Paese fondatore della prima Comunità europea, non può permettersi di stare fuori, pena andare fuori dalla storia.

Siamo ormai alla vigilia delle prossime elezioni europee che si terranno fra poco più di un anno e che potrebbero coincidere con nuove elezioni italiane: c’è da sperare che sia l’occasione per tornare a convincersi che “Italiaeuropa” va scritta in una parola sola. Adesso più che mai.

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