Alzare lo sguardo al mondo

2018

Complice il protrarsi della crisi col suo pesante impatto sulla nostra vita quotidiana e la palude politica in cui sembra affondare l’Italia, rischiano di sparire dall’informazione – e già c’erano poco prima – i temi delle diseguaglianze nel mondo e quelli delle politiche di cooperazione internazionale.

Viviamo – o sopravviviamo – come se non fossimo tutti a bordo di una stessa barca, in un mondo globalizzato sul quale apriamo qualche episodica finestra solo in occasione di avvenimenti tragici come terremoti e tifoni o segnali di rischi sistemici delle grandi economie planetarie.

Dura anche poco l’attenzione al mondo che abbiamo in casa o che tenta di entrarci: si spegnerà presto l’eco della strage dei lavoratori-schiavi cinesi a Prato e, di questo passo, finiremo anche per fare l’abitudine all’infinita tragedia di Lampedusa e dintorni.

E se non vediamo quello che sta capitando in casa nostra, figuriamoci l’attenzione che prestiamo a quanto avviene fuori dai nostri confini. Neanche se con quei confini confiniamo.

E’ il caso particolare dell’Africa, il continente a noi più vicino e al quale prestiamo attenzione quasi solo per quanto avviene sulle sue coste settentrionali, scosse dalle primavere arabe e segnate ad oggi da esiti spesso inquietanti. Nell’Africa profonda preferiamo non avventurarci, limitandoci a registrare il ripetersi di conflitti di sapore post-coloniale, dove non a caso assistiamo a interventi militari francesi, come in Mali e in Centrafrica. Salvo poi scoprire quanto sia stato un gigante per l’umanità l’africano Nelson Mandela.

Ma l’Africa è molto di più: è la nostra storia, di lì veniamo ed è probabile che in gran parte sia lì anche il nostro futuro, per la ricchezza delle sue materie prime e più ancora per la vitalità dei suoi popoli che, finalmente, cominciamo a conoscere e ad apprezzare anche in casa nostra. Tutto fa sembrare che questi patrimoni, dimenticati o trascurati dalla nostra Europa coloniale, interessino invece e molto a un Paese comela Cinache sta comprandosi quelle terre, nell’indifferenza colpevole del resto del mondo.

Si tratta soltanto di alcuni dei temi rimossi dall’informazione, disattenti anche al lavoro prezioso della cooperazione internazionale. Su questa “disattenzione” si sono interrogati la settimana scorsa a Torino i rappresentanti delle Organizzazioni Non Governative (ONG) e di differenti media piemontesi, dalla carta stampata alla televisione e alla radio, senza dimenticare l’irruzione non priva di limiti dei molteplici strumenti on line.

In un confronto all’Università di Torino alla domanda: “La cooperazione internazionale fa notizia?” sono piovute perlopiù risposte negative o problematiche e rilievi particolarmente critici all’indirizzo delle ONG e alla loro insufficiente capacità comunicativa: troppo spesso “una comunicazione a spot- come l’ha definita il relatore, prof. Cristopher Cepernich – che non ha respiro strategico”. Tutto questo senza tuttavia fare sconti alla scarsa ricettività in proposito dei media. Si sono in parte salvati da queste giuste critiche, le molte – forse anche troppe – testate locali, in particolare quelle di area cattolica.

Dopo tanto chiacchierare di “glocal”, finalmente qualcuno che prova a coniugare concretamente dimensione globale e impegno locale e tiene i riflettori accesi sul difficile dialogo tra ONG e media, come avvenuto nell’incontro promosso dal Consorzio ONG piemontesi (COP) a Torino.

3 COMMENTI

  1. In un mondo ormai interamente globalizzato come possono esser messe sotto i riflettori dei media quelle realtà locali che sono il substrato dell’ intera ricchezza della conoscenza umana? cosa può fare l’Europa per le piccole realtà presenti anche all’interno del nostro continente, ma spesso ignorate poiché non conformi ai canoni della grande Europa?
    vale la pena valutare una piccola realtà quale un dialetto o una tradizione che pur differendo dal filone principale della cultura del paese contribuiscono ad arricchirne la diversità e la ricchezza di costumi? o è meglio livellare tutto su di un piano globale?

    • L’Unione Europea ha grande difficoltà a coordinare l’azione, cosiddetta “sovrana”, dei suoi Paesi membri. Figuriamoci la presa in conto delle piccole realtà presenti sul suo vasto territorio. A prima vista potrebbe sembrare una “traversia” che però, come diceva il nostro G.B. Vico, potrebbe anche essere una grande “opportunità”: quella di rivificare la “grande Europa” partendo dal basso, salvaguardandone le diversità che sono la sua più grande risorsa. Ma questo può funzionare ad una condizione: che l’UE presti maggiore attenzione alla cultura, che è anche una grande risorsa economica e occupazionale.
      Un’occasione da non sottovalutare in questa stagione di crisi.

      Franco Chittolina

  2. E’ condivisibile il far conoscere e divulgare le conoscenze(con informazione vera e autentica) sulle diversità locali – eccellenti e potenziali – miranti verso aggregazioni sociali propositive e condivise.

    Perché sono queste le condizioni basilari di quella “più grande risorsa” del nostro Paese tanto per la sua cultura socio-economica territoriale – che necessita di diffusa conoscenza europea – quanto per riproporsi con decisione ferma – quale Paese, tra i 28 dell’UE, non solo fondatore delle comunità europee del secolo scorso.

    Ma anche Paese “co-promotore unitario” in questa “stagione di crisi” che, pur attento ai “patti rigorosi” di stabilità, deve – non solo a mio avviso – promuovere e proporre flessibilità verso investimenti nazionali “mirati” alla crescita socio-economica, nella dimensione europea, unica strada percorribile e visibile di crescita politica europea riconoscibile – con il lavoro – dagli italiani, nel continuare il percorso già condiviso della costruzione politica unitaria europea avviato nel secolo scorso.
    Donato Galeone

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