Alzare lo sguardo al mondo

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A forza di guardare dove si mette il piede nel breve cammino della nostra vita, rischiamo di finire su strade sbagliate o su sentieri che non portano lontano: può capitare a ciascuno di noi, come a chi ha responsabilità della cosa pubblica, a livello locale e nazionale in particolare.

Prima che la nostra attenzione venga catturata – e non sarebbe male – dalle imminenti competizioni elettorali, piemontesi ed europee, può essere utile alzare lo sguardo al villaggio globale del mondo, ricavandone stimoli e considerazioni anche per il nostro impegno locale. Uno sguardo “glocal” che ci aiuti a capire quello che ci aspetta e a fare la nostra parte per un mondo un po’ migliore.

Siamo probabilmente tutti convinti che non viviamo nel “migliore dei mondi possibili”: per chi ne dubitasse, basta che presti attenzione all’allarme lanciato qualche giorno fa dall’ONU sui rischi che corre il nostro pianeta, minacciato dal surriscaldamento climatico che potrebbe nel giro di non molto tempo creare drammatiche situazioni irreversibili per la vita dei suoi abitanti.

Senza aspettare domani, basta alzare lo sguardo per registrare oggi nel mondo molte aree di crisi: da quelle socio – economiche a quelle politiche e militari. Se la globalizzazione ha aumentato il livello complessivo del benessere, non altrettanto positiva ne è stata la sua distribuzione tra i diversi Paesi e gruppi sociali. La disuguaglianza è cresciuta e minaccia una coesione politica e sociale già fragile e mette a dura prova la tenuta della democrazia, dove esiste.

Una diagnosi che vale per le grandi economie emergenti come l’India, dove le recenti elezioni non rassicurano sul futuro della democrazia, e come la Cina, dove la democrazia resta un sogno lontano dal realizzarsi nonostante recenti fremiti di contestazione sociale. Soffre la democrazia in Venezuela e vive momenti turbolenti nel Brasile, alla vigilia di mondiali di calcio che mal si accompagnano alla miseria delle “favelas”. Non cessano i conflitti in Africa, anzi si allargano, come in Centrafica, Sudan e Nigeria.

Più vicino a noi, poche sono le speranze per una rinascita democratica in Afghanistan e in Iraq, vittime di guerre sbagliate (ma sono sempre sbagliate le guerre) e in Siria, dove la guerra civile miete vittime ormai dimenticate e dove è sempre più difficile portare al tavolo dei negoziati di pace contendenti appena presentabili.

Sembrano appassiti i fiori delle “primavere arabe” nell’area mediterranea: a parte la Tunisia, non arrivano buone notizie per la democrazia dall’Algeria del sempiterno Boutefika, dalla Libia delle bande armate, dall’Egitto stretto nella tenaglia dell’esercito e dei Fratelli musulmani. Per non dire dell’infinito conflitto israelo – palestinese, con gli USA che non riescono a far progredire il percorso di pace e con l’UE che non ci prova nemmeno, dell’Iran ancora ambiguo nelle sue aperture al dialogo internazionale e dell’instabilità non ancora del tutto sopita nei Balcani.

Delle vicende ucraine molto si è detto e molto ancora ci sarà da dire, visto l’esito a oggi negativo dei colloqui di Ginevra tra Russia, USA, UE e Ucraina e sono in pochi a credere che le tentazioni espansioniste di Putin si siano esaurite.

E intanto in Europa si continua a duellare su austerità e crescita, in Italia su crescita e austerità. Se venga prima l’uovo o la gallina non è dato sapere. Nel primo caso meglio non farne una frittata, indigesta per i molti che hanno fame; nel secondo, meglio evitare di alimentare un pollaio tra i politici che fingono di dimenticare di aver negoziato lo sciagurato “fiscal pact” e quelli che si dicono pronti a passarci sopra. Contenti noi se ci diranno anche come e grazie a quali alleanze: le elezioni europee potrebbero essere una buona occasione per spiegarcelo.

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