Il Nagorno-Karabakh è di nuovo teatro di scontri aperti tra Armenia e Azerbaijan. La tensione militare aumenta giorno dopo giorno con il coinvolgimento di mezzi pesanti, fanteria e artiglieria, tanto da provocare vittime anche fra la popolazione civile.
La storia di questa piccola provincia autonoma incastonata nell’Azerbaijan e popolata in maggioranza da armeni è da lunghi anni complessa e tormentata. Concessa nel 1921 da Stalin all’Azerbaijan, è sempre stata attraversata da forti tensioni etniche, in particolare a partire dal 1988. Dopo la caduta dell’Unione Sovietica nel 1991, il Nagorno Karabakh dichiara la sua indipendenza, causando una vera e propria guerra nella regione, terminatasi solo nel 1994 con un fragile cessate il fuoco. Una sospensione delle ostilità costata quasi 30.000 vittime fra le parti, una perdita, da parte dell’Azerbaijan di circa il 13% del suo territorio e l’espulsione di migliaia di azeri dalle loro terre. Una situazione che, per la sua sensibilità geopolitica, non ha tuttavia mai portato al riconoscimento dell’”indipendenza” del Nagorno Karabakh, nemmeno da parte dell’Armenia, e che, in questo continuo stato di tensione, continua inevitabilmente ad alimentare diffidenza e ostacoli alla soluzione del conflitto.
Una guerra quindi che si consuma da anni fra due ex repubbliche sovietiche e nella quale si confrontano motivazioni contrastanti: da una parte quella dell’integrità territoriale rivendicata dall’Azerbaijan e dall’altra quella dei separatisti armeni del Nagorno Karabakh, sostenuti appunto dall’Armenia che difende il principio dell’autodeterminazione.
E’ tuttavia un riaccendersi delle ostilità che, in questo incerto periodo delle relazioni internazionali, assume un particolare significato perché mette direttamente a confronto altri attori dagli interessi altrettanto divergenti: la Turchia a sostegno dell’Azerbaijan e la Russia, schierata da sempre con l’Armenia. Turchia e Russia occupano già buona parte della stessa scena internazionale e in zone turbolente, dal Mediterraneo orientale, alla Siria e alla Libia e dove gli snodi economici ed energetici non sono mai troppo lontani e sempre al limite di un possibile confronto.
Se da una parte la Turchia ha usato, come d’abitudine in questi ultimi tempi, toni bellicosi a difesa dell’Azerbaijan, la Russia si è limitata, per il momento, ad un solido richiamo a deporre le armi. Non sfugge a nessuno infatti l’importanza strategica che riveste il Caucaso del sud per la Russia, dove, proprio in Armenia, dispone di due basi militari.
Infine, Armenia e Azerbaijan sono due Paesi membri del Partenariato orientale con l’Unione Europea, un Partenariato che dura da più di dieci anni e che ha come obiettivo quello di rafforzare l’associazione politica e l’integrazione economica dei Paesi aderenti. Dall’Unione europea non poteva che giungere un forte appello affinché cessino tutte le ostilità. “C’è un rischio di gravi conseguenze e di destabilizzazione di tutta la regione”, ha sottolineato il Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, invitando l’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) a riprendere l’iniziativa per fermare l’escalation militare.
Si è riacceso quindi, alle immediate frontiere dell’Europa, un conflitto che la diplomazia non è mai riuscita a risolvere da trent’anni a questa parte e che continua, oggi più che mai, a lasciare pericolosamente spazio al solo uso delle armi. Con la speranza che questa volta, vista la gravità della situazione, si apra almeno uno spiraglio per il dialogo e per futuri negoziati di pace.