Le brutte notizie non arrivano mai sole, ma arrivando insieme hanno talvolta un pregio: quello di suonare l’allarme e dare la sveglia a chi di dovere.
La settimana scorsa, il 30 novembre, gli istituti statistici dell’Italia e dell’Europa hanno suonato in contemporanea l’allarme. L’ISTAT dicendoci che la disoccupazione in Italia è salita all’11,1%, quella giovanile al 36,5% e hanno raggiunto i massimi storici i numeri del lavoro a tempo parziale (3,8 milioni di persone) e dei precari (2,8 milioni). Tiene invece, pur rimanendo inferiore alla media europea, il tasso di occupazione fermo al 56,9% grazie all’incremento registrato nelle cooperative.
Sono numeri e percentuali che non si vedevano da vent’anni, tutti peggiorati negli ultimi mesi e particolarmente pesanti nelle regioni meridionali dove la disoccupazione giovanile interessa il 41,7% per i maschi e il 43,2 delle femmine.
Non consola che non vada molto meglio nel resto dell’Europa.
EUROSTAT registra nell’eurozona una disoccupazione all’11,7%, con quasi 19 milioni di persone senza lavoro, oltre due milioni in più nell’ultimo anno. Sulla carta dell’UE le macchie della disoccupazione variano non di poco: non superano il 5,5% l’Austria, la Germania e l’Olanda mentre sono sopra il 25% Grecia e Spagna. In alcuni dei Paesi UE, quelli baltici in particolare, la disoccupazione è diminuita mentre in altri, come Cipro, Spagna e Portogallo è notevolmente aumentata. Sempre nell’eurozona è cresciuta la disoccupazione giovanile, sfiorando mediamente il 24% contro l’8% circa in Germania e Austria.
Il 2 dicembre EUROSTAT ha rincarato la dose ricordandoci che nel 2011 in Europa 119,6 milioni di persone, pari a quasi un quarto della popolazione, sono state a rischio povertà, con un netto aumento rispetto all’anno precedente e un più che probabile incremento nel 2012.
Sono questi solo alcuni dei numeri che hanno suonato l’allarme in Europa e che hanno dato la sveglia ai responsabili europei, in attesa che si facciano sentire anche i governanti italiani.
La prima a reagire è stata la Commissione europea che, in occasione dell’adozione dell’analisi annuale della crescita, ha indicato agli Stati membri cinque priorità e tra queste la lotta contro la disoccupazione e le conseguenze sociali della crisi. In particolare l’attenzione va alla disoccupazione giovanile e a quella di lunga durata che ha raggiunto livelli allarmanti. Le proposte vanno dal potenziamento dei servizi di collocamento pubblici alle politiche attive del mercato del lavoro, tra cui l’assistenza per la ricerca di un impiego, gli apprendistati, il sostegno all’imprenditoria e l’offerta di tirocini di buona qualità.
Ma affrontare le conseguenze sociali della crisi deve fare i conti con i costi della protezione sociale, aumentati negli ultimi anni, con Paesi come la Francia, la Danimarca e l’Olanda, che vi destinano un terzo della ricchezza nazionale e l’Italia poco più di un quarto, e altri come Estonia, Polonia e Slovacchia meno di un quinto. In particolare sono aumentati vorticosamente i costi per la disoccupazione e ne sa qualcosa la nostra Cassa integrazione agli sgoccioli.
Sulla disoccupazione è intervenuto anche Mario Draghi, chiedendo con forza di proseguire nella riforma del mercato del lavoro e di accelerare sull’integrazione bancaria, economica e politica, cedendo pezzi di sovranità nazionale per esercitare efficacemente la sovranità europea.
Esattamente quanto non è accaduto all’ultimo Consiglio europeo, conclusosi senza accordo sul quadro finanziario per il periodo 2014-2020, lo strumento principale dell’UE per dare ossigeno ai Paesi in difficoltà e contrastare la recessione aggravata dalle politiche di sola austerità e dall’assenza di solidarietà europea.