Afghanistan: poca Unione Europea per una soluzione

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La conquista di Kabul da parte dei talebani richiama responsabilità passate e future e, tra queste, quelle dell’Europa.

Per il passato, senza andare troppo lontano, non vanno dimenticate le responsabilità, nei primi anni del secolo scorso, dell’impero britannico e, più recentemente nel 1979, l’invasione dell’Unione Sovietica, conclusasi con una ritirata nel 1989. Poco più di dieci anni dopo, nel 2001, è stato il turno degli Stati Uniti, all’indomani dell’attentato alle Torri gemelle a New York: venti anni di presenza sul territorio afghano, con l’esito drammatico che abbiamo appena conosciuto.

E l’Unione Europea in tutta questa vicenda? Poco o nulla sul versante militare, per opera di alcuni suoi Paesi membri; non poco in quanto Comunità, per gli aiuti umanitari ad un popolo da sempre martoriato e poco governato.

A questa assenza europea sul terreno ha in parte sopperito l’Alleanza atlantica (NATO), guidata dal suo azionista di maggioranza, gli Stati Uniti e con la partecipazione di una coalizione a geometria variabile tra i principali Paesi UE. Come dire che una strategia europea in quanto tale non si è mai vista, o perché delegata agli USA (protagonisti su quei campi di battaglia nel fare e disfare) o perché frammentata tra le pretese “sovranità nazionali” europee.

Non stupisce quindi che oggi l’UE sia tagliata da fuori dai grandi giochi asiatici, dove sono impegnati Paesi come il vicino e possibile complice Pakistan, la Cina alla conquista del mondo, la Russia pronta a tornare in campo, la Turchia alla ricerca di un nuovo ruolo nell’area mediorientale allargata e gli USA, per quanto ancora praticabile, se non altro per non regalare una prateria ai Paesi appena citati.

Certo non sono da tralasciare le prese di posizioni dei principali leader europei, dalla Merkel a Macron, da Johnson a Draghi, mentre da Bruxelles la Commissione europea cerca di guadagnare tempo, inciampando fin da subito in una discutibile dichiarazione del Responsabile dell’inesistente politica estera, Borrell, seguita da quella dell’ex Premier Conte, disponibili aprire fin da subito al dialogo con i talebani perché “hanno vinto”, con tanti saluti alla difesa dei conclamati valori europei e delle nostre democrazie.

Capita così che i leader europei si rivolgano ad altre sedi internazionali per convenire sul da farsi, come nel caso del G7, convocato di intesa tra Biden e Johnson, e del G20, provvisoriamente ancora presieduto dall’Italia, con una riunione informale prevista in settembre. Luoghi di confronto politico importanti – per la vicenda afghana più il secondo che il primo – ma entrambi senza una base giuridica e una visione politica condivisa per un’azione comune.

Si tratta di sedi segnate da interessi diversi, quando non nettamente divergenti, come avviene peraltro anche all’interno della NATO e della stessa Unione Europea. Che, tanto per partire con il piede sbagliato, si divide sulla disponibilità all’accoglienza dei profughi: contrari i soliti Paesi di Visegrad, Ungheria intesta ma anche l’Austria e Grecia, e cauti Paesi come la Germania e la Francia, alle prese con tornate elettorali decisive, già a settembre quella tedesca e a maggio prossimo quella francese. Provvisoriamente più stabile il governo italiano, guidato da un Draghi forte delle debolezze dei partiti che non perderanno l’occasione, nel semestre bianco del “liberi tutti” e alla vigilia di elezioni amministrative in autunno, di cercare di guadagnare consensi, non importa se sulla pelle di profughi, tali anche per nostre responsabilità.

Sarebbe stato auspicabile una convocazione urgente del Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo, ma i giorni passano senza che ci siano sostanziali speranze di azioni condivise.

Tutto come previsto: sarà così fin quando l’UE non si doterà di una propria politica estera e di sicurezza comune, sempre che ci arrivi ancora in tempo.

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