Unione Europea, per non declinare crescendo

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Di questi tempi si parla molto di declino, della politica come dell’economia, di Paesi in difficoltà, addirittura di un declino degli Stati Uniti di Trump e non stupisce che se ne parli anche, e molto, dell’Unione Europea a proposito della sua scarsa coesione e della sua crescente irrilevanza negli affari mondiali.

Ed è anche per contrastare questo declino che l’UE sta riattivando il cantiere del suo prossimo allargamento con una decina di Paesi candidati all’adesione. Paradossalmente con il rischio di “declinare crescendo”, con un’espansione territoriale dell’Unione che non solo potrebbe non rafforzare le sue capacità politiche, ma addirittura indebolirle. 

Il monito le viene dalla sua storia: dalle limitate prime Comunità dei Sei Paesi fondatori degli anni ‘50, segnate da un rapido sviluppo economico e sociale ai primi allargamenti degli anni ‘70, con il Regno Unito in particolare, che ne hanno rallentato la crescita politica con il contributo anche  dell’arrivo, negli anni ‘90, di Svezia Finlandia e Austria, politicamente distanti dal nucleo centrale dei Paesi fondatori, allargamento preceduto negli anni ‘80 dall’ingresso di tre Paesi del sud, Grecia e penisola iberica, portatori di importanti differenziali economici e sociali.

Poco o niente a confronto del grande allargamento del primo decennio di questo secolo, con l’ingresso nell’UE di una decina di Paesi dell’Europa centro-orientale, in provenienza dalla dissolta Unione Sovietica, che ai differenziali economici e sociali hanno aggiunto pesanti differenziali nell’esercizio dello Stato di diritto, come stiamo continuando a registrare da tempo con Ungheria, insieme a Repubblica ceca e Slovacchia.

Quanto basta per dovere adesso procedere a futuri allargamenti con molta cautela, prendendo tutte le precauzioni possibili e non tardando oltre a riformare l’Unione in profondità per reggere all’impatto di Paesi come quelli dei vicini Balcani e della Moldavia, per non parlare della Georgia e dell’Ucraina, ancora in guerra.

Sono preoccupazioni che non debbono però occultare le opportunità che questi allargamenti potranno offrire all’Europa nel suo processo di riunificazione continentale, condotta da decenni con 

tenacia, rispettando confini e sovranità nazionali, lontani anni-luce dalle conquiste neo-imperiali della Russia. 

Non sfugge a nessuno il vantaggio di ampliare il mercato comune, di alzare un argine pacifico verso potenze “aggressive” vicine o lontane – come Russia e Cina – che guardano con interesse al controllo, non necessariamente militare, di questi Paesi da aiutare verso una più compiuta vita democratica, magari non solo con l’imposizione di regole ma anche con l’esempio da parte dei Paesi già oggi membri dell’UE, solidarietà finanziaria compresa.

Su questi e su altri aspetti problematici dei futuri allargamenti si è espresso lo scorso 22 ottobre con chiarezza il Parlamento europeo con una Risoluzione adottata a larga maggioranza, contro il voto delle destre non solo estreme,  chiedendo in particolare una riforma delle Istituzioni UE e del processo decisionale con la revisione del voto all’unanimità per non aggravare la paralisi che oggi tiene in ostaggio l’Unione, in particolare in materia di sicurezza e difesa. 

In questa occasione il Parlamento europeo è tornato a chiedere un ampliamento dei suoi poteri, tra i quali una capacità di iniziativa legislativa e pieni poteri-colegislativi per quanto riguarda la spesa dell’UE e l’adozione del bilancio pluriennale dell’Unione, a partire dal prossimo 2028-2034.

In attesa che queste riforme, invocate da tempo, prendano forma già sarebbe il caso di affrontare subito il problema a partire dal reperimento delle risorse finanziarie necessarie per riuscire la futura saldatura e informando correttamente, e a fondo, i cittadini su entrambi i versanti dell’incontro futuro su quanto li attende, sacrifici compresi. 

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