La saggezza popolare insegna che “la notte porta consiglio”, ma sembra non funzioni con il Consiglio europeo nella notte che attraversa il mondo e l’Europa, in questa stagione buia di guerre e tensioni che si intrecciano tra loro con il rischio di aumentarne il potenziale esplosivo.
Anche per questo era particolarmente atteso il Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo riunito a Bruxelles giovedì scorso, mentre si rincorrevano le dichiarazioni di Trump e Putin sulla guerra in Ucraina e veniva ancora una volta rinviato il loro incontro, previsto a Budapest.
A Bruxelles i Ventisette avevano sul tavolo temi di grande urgenza, due in particolare: le guerre in corso con il futuro della difesa dell’Unione Europea e la fragile intesa raggiunta a Gaza e la risposta all’emergenza climatica, anche in vista dell’imminente riunione ONU in Brasile.
Alla fine del confronto è stato prodotto l’abituale prolisso comunicato con “conclusioni” che ben poco hanno concluso. Piuttosto sbrigative quelle sul Medio Oriente, con cinque paragrafi per felicitarsi per l’accordo raggiunto, ricordare il rispetto del diritto internazionale e l’obiettivo di due Stati, proseguire verso la pace, sostenere l’Autorità palestinese e chiedere “un allentamento delle tensioni in Cisgiordania”.
Una ventina invece i paragrafi consacrati a “Difesa e sicurezza europee”, con un accordo sulla proposta dalla Commissione europea “Preparati per il 20230”, una tabella di marcia per il rafforzamento della sicurezza, con l’Ungheria che si è dissociata sul sostegno all’Ucraina, e da declinare con flessibilità da parte degli Stati membri, gelosamente sovrani sulla materia.
Difficile, a questo stadio, intravvedere un reale avvio di percorso verso una difesa comune, salvo l’invito agli Stati membri di “aumentare la capacità dell’industria europea della difesa” con appalti congiunti, in stretta cooperazione con l’Ucraina, in particolare per il suo contributo “per quanto riguarda l’innovazione e la tecnologia d’avanguardia”. Naturalmente saranno necessarie risorse importanti, parte delle quali sollecitate alla Banca Europea per gli Investimenti (BEI), in attesa di trovare entro Natale una soluzione per sbloccare i circa 200 miliardi di fondi russi, trattenuti prevalentemente in Belgio.
Se sul fronte della pace non si è andati molto avanti, in compenso su quello della transizione climatica sono stati fatti passi indietro. L’argomento appare nelle “Conclusioni” sotto il titolo “Competitività e duplice transizione” con un’altra ventina di paragrafi, i primi per invitare alla “semplificazione e al miglioramento della regolamentazione a tutti i livelli – dell’UE, nazionale e regionale”, il resto del capitolo equamente tra “Una transizione verde competitiva” e “Una transizione digitale sovrana”, quest’ultima per proteggere la buona regolamentazione digitale europea da attacchi in provenienza, in particolare, dagli Stati Uniti, sapendo che per l’UE non sarà una passeggiata.
Quanto alla transizione verde le “Conclusioni”, dopo aver ricordato “la minaccia esistenziale rappresentata dai cambiamenti climatici” sembrano dimenticarsene rapidamente per fare posto ad una revisione delle ambizioni UE, facendo prevalere quelle della competitività economica su quella in difesa del Pianeta che aveva fatto apprezzare l’Unione Europea nella scorsa legislatura. Non che i nodi siano semplici da sciogliere, a cominciare da quello dell’approvvigionamento energetico fino ai bisogni dell’industria, quella automobilistica in particolare, tralasciando prudentemente i problemi aperti con la politica agricola comune.
Con questi chiari di luna, che non rischiarano il buio della notte in cui viviamo, la parola magica sembra essere “pragmatismo”: è stato invocato a Bruxelles a più voci, con insistenza anche dal presidente del Consiglio italiano aggrappato al voto all’unanimità, utile per frenare il processo di integrazione, ma anche da Draghi in Spagna, in direzione opposta: per salvare l’Unione e farla progredire con chi ci sta, prima che sia tardi.













