Quando l’altra metà del mondo si dà appuntamento in Cina

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L’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) ha tenuto uno dei suoi Vertici più importanti, il venticinquesimo, nella città di Tianjin, nord della Cina. Fondata nel 2001, la SCO riunisce oggi dieci Paesi membri, Cina, Russia, India, Pakistan, Iran, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan, oltre a molteplici osservatori e partner di dialogo,  coprendo più del 40% della popolazione mondiale e una parte del PIL mondiale passato dal 5% del 2001 a più del 23,5% nel 2024.

Sono dati rilevanti se si considera il contesto geopolitico mondiale in pieno cambiamento e carico di tensioni globali, le guerre in corso, Ucraina e Medio Oriente in particolare e le guerre commerciali esasperate dall’Amministrazione Trump. Stanno anche ad indicare, con la presenza di una ventina di Capi di Stato e di Governo, che da più di vent’anni a questa parte, si sta delineando un’altra via mondiale parallela a quella che, fino a poco tempo fa, partiva da Washington e costituiva il baricentro occidentale del mondo.

L’Organizzazione, nelle parole introduttive di XI Jin Ping all’apertura del Vertice, si propone infatti, attraverso una cooperazione politica, economica e di sicurezza di raggiungere un ambizioso obiettivo a lunga scadenza e cioè quello della realizzazione di un progetto di ordine mondiale alternativo a quello occidentale, basato su una “multi polarizzazione equa e ordinata del mondo, una globalizzazione economica inclusiva e un sistema di governance globale più giusto ed equo”.  Tale visione di governance globale per il futuro richiede tuttavia il “superamento di guerre culturali e mentalità da guerra fredda”. 

Se, da una parte, l’obiettivo apre scenari futuri ad oggi ancora molto imprecisi, dall’altra il Vertice SCO ha messo in scena Paesi membri che si ritrovano oggi al centro delle crisi internazionali e le cui relazioni bilaterali, spesso, sono  a dir poco delicate. A cominciare dal confronto commerciale con gli Stati Uniti, dove, ad esempio, Cina e India rappresentano i principali bersagli dei tassi doganali imposti da Trump. Una situazione che si innesta sulla lenta normalizzazione dei rapporti fra i due Paesi, i più popolati al mondo, in difficoltà diplomatiche soprattutto dopo gli scontri militari nel 2020 sulle loro frontiere e in forte competizione regionale. La partecipazione al Vertice di Narendra Modi, assente dalla Cina dal 2018, indica infatti la volontà dei due Paesi di collaborare per far fronte al disordine commerciale ed economico globale e ai dazi doganali americani che pesano sulle rispettive economie.

Un’altra presenza al Vertice è stata quella del Presidente Putin, ricevuto da Xi con gli onori di un’amicizia “senza limiti”. Le discussioni sulla guerra in Ucraina, la cui responsabilità è stata, da Putin, interamente attribuita all’Occidente, l’intesa sulla definizione di un nuovo ordine mondiale nonché il resoconto sull’incontro in Alaska con Trump sono state al centro dell’ incontro. Ma è stata anche un’occasione per Putin di lanciare le basi di un partenariato strategico con l’India, Paese che paga lo scotto dei dazi doganali da parte di Trump per l’acquisto di gaz a Mosca. 

Altro conflitto irrisolto è quello fra India e Pakistan nel Cachemire, dove gli ultimi pesanti scontri si sono verificati nel maggio scorso e dove non è mai stato raggiunto un accordo sulla sovranità della regione. Senza dimenticare il merito che Trump si è attribuito per una pace mai raggiunta, cosa che ha fortemente contribuito ad irritare il primo Ministro indiano.

Ed infine, con la presenza del Presidente Masud Pezeshkian, non è mancato il riferimento e il sostegno al nucleare iraniano, tema di prima importanza per Teheran, soprattutto nel momento in cui Germania, Francia e Regno Unito hanno notificato alle Nazioni Unite, il 28 agosto scorso, che l’Iran era venuta meno al rispetto degli obblighi ripresi nell’accordo del 2015, con il pericolo di nuove sanzioni. 

E’ stato quindi un Vertice aperto su un nuovo e incerto futuro. La domanda è se le nostre ormai fragili democrazie occidentali riusciranno a far fronte al ricomporsi di probabili nuovi e futuri imperi. 

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