Intorno al sistematico massacro dei Palestinesi a Gaza da parte di Israele, che sia con i bombardamenti dell’esercito o con il divieto di lasciar passare l’aiuto umanitario ad una popolazione ormai stremata anche dalla fame, il Medio Oriente è più che mai in grande movimento in guerre intrecciate fra loro, dove Israele e Stati Uniti sono in prima linea in quanto attori.
In questo contesto di conflitti, ha destato particolare interesse, la recente visita del Presidente siriano ad interim Ahmed al-Sharaa il 7 maggio scorso al Presidente francese Macron, la prima sua visita in Europa. Non era il primo segnale di disponibilità di dialogo e di avvicinamento dei nuovi vertici siriani all’Europa. La visita è avvenuta infatti in un momento in cui il Paese è attraversato, da una parte, da grandi tensioni con Israele e dall’altra da pericolosi episodi di violenza nei confronti delle minoranze drusa e alawita. Non va dimenticato o sottovalutato infatti che in gioco ci sono la tenuta della transizione politica siriana, l’inclusione delle minoranze per evitare un’ulteriore guerra civile, lo sviluppo dell’economia e la cancellazione delle sanzioni internazionali (soprattutto statunitensi, improvvisamente tuttavia cancellate da Trump in occasione del corrente viaggio ufficiale in Arabia Saudita), la lotta al terrorismo e l’insieme delle stabilità regionale.
Altro “pezzo” di Medio Oriente di strategica importanza è l’Iran, anche se fortemente indebolito dal crollo del suo “Asse della Resistenza” a Israele e sempre principale minaccioso nemico di quest’ultimo. Teheran è infatti impegnata dallo scorso metà aprile a negoziare con gli Stati Uniti un accordo sullo sviluppo del suo programma nucleare, tramite la mediazione dell’Oman. Si è appena concluso infatti il quarto ciclo di negoziati e poco si sa sull’avanzamento di questo dialogo bilaterale. Certo è che, al di là delle dichiarazioni di cauto ottimismo, le posizioni sono ben distanti e sotto massima pressione da parte degli Stati Uniti e di Israele. In gioco, impedire all’Iran di dotarsi dell’arma nucleare e per Teheran il diritto irrinunciabile a un “nucleare pulito” e destinato a scopi civili, in particolare nel settore dell’energia. Ma soprattutto sono in gioco le sanzioni economiche, soprattutto quelle imposte da Trump dal 2018 e che continuano ancor oggi, sanzioni che pesano enormemente sull’economia iraniana e sulle condizioni di vita della popolazione.
Legato all’Iran e al conflitto di Israele a Gaza è lo Yemen, dove nelle ultime settimane gli Stati Uniti e Israele sono intervenuti militarmente contro gli Houthi per rispondere agli attacchi missilistici di questi ultimi verso Israele. In gioco l’intera stabilità regionale intorno al Mar Rosso, via strategica di passaggio di una parte consistente del commercio globale. Non solo, ma anche uno Yemen in preda ad una guerra civile che dura da dieci anni, Paese imprigionato fra tensioni locali, dinamiche regionali e potenze globali.
E’ in questo contesto che si inserisce il primo viaggio ufficiale di Donald Trump nella regione, limitato tuttavia alle ricche monarchie del Golfo, Arabia Saudita, Qatar e Emirati Arabi Uniti, segno dell’importanza crescente del loro ruolo geopolitico e del loro immenso potenziale economico.
Un primo viaggio ufficiale senza tappa in Israele, fortemente segnato da una diplomazia economica di tutto rispetto, con la firma di un “partenariato economico strategico” e incassando promesse e impegni di investimenti faraonici, soprattutto da parte di Riad. Avrà tempo, il Presidente Trump di affrontare con i suoi interlocutori anche i temi politici e caldi di un Medio Oriente sempre più a pezzi ? E che prezzo avrà il rapporto con Israele, la pace e il futuro di Gaza e della Palestina?