Previsioni d’autunno per l’Unione. È quasi inverno

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Nel gergo brussellese, non sempre esemplare per chiarezza, le previsioni d’autunno potrebbero indurre in errore: non raccontano ovviamente dell’autunno che sta per terminare, ma annunciano l’inverno ormai vicino, e il nuovo anno che viene, non in relazione al meteo ma alla temperatura delle prospettive economiche nell’Unione Europea. Anche se, in questo caso, le previsioni meteo e quelle economiche tendono a coincidere annunciando un raffreddamento in vista.

Nell’UE tutti i Paesi dovrebbero continuare a crescere ma a un ritmo più lento di quello previsto qualche mese fa, che già non era particolarmente positivo.

Le previsioni d’autunno, pubblicate dalla Commissione europea il 7  novembre scorso, raccontano di un’economia in rallentamento, con un tasso di crescita sotto il 2%, un modesto 1,7% lontano dal tasso del 2017 del 2,4%. La notizia, parzialmente buona, è che nonostante questa forte inflessione l’occupazione non ne ha risentito molto; quella cattiva, per il nostro Paese, è che le previsioni ci mettono ancora una volta in coda alle classifiche o tra i primi, a seconda dei punti di vista.

Siamo tra i primi per il debito pubblico che, complici nuovi criteri statistici, schizzerà l’anno prossimo attorno al 137% del Pil; siamo in alto anche nelle classifiche della disoccupazione e tra gli ultimi per tasso di crescita: solo dello 0,4%nel 2020. Andiamo meno peggio con il deficit annuale, anche se sopra la soglia del 2%: tutti dati che, considerati insieme, inducono la Commissione europea a non “sparare sulla Croce rossa” e a non rispedire per ora al mittente la faticosa legge di bilancio italiana appena approdata in Parlamento. Contribuisce a stimolare questa “opera di misericordia” europea anche un’altra classifica, quello dello “spread” che, pure ampiamente ridotto, ci mette adesso in coda alla Grecia per il rischio finanziario.

Colpisce che questo quadro sia finito poco sotto i riflettori della grande stampa italiana, quella economica compresa, e ancor meno  della nostra classe politica, tutta assorbita dal caso di Arcelor-Mittal, con il rischio di chiusura della ex-ILVA di Taranto e di Racconigi. Sembrerebbe trattarsi dell’”albero che nasconde la foresta”, che pure  potrebbe appiccare altri incendi, ma perché altri incendi già sono in corso (Whirpool a Napoli, Embraco in Piemonte tra gli altri) e molti covano sotto la cenere, pronti ad infiammarsi in tempi brevi se le previsioni della Commissione europea non suonassero in tempo l’allarme.

Il governo giallo-rosa dovrebbe aver chiare le sfide che lo attendono e sa bene che non può essere una risposta risolutiva l’attuale legge di bilancio che poco potrà fare per lo sviluppo dell’Italia nel 2020, forse qualcosa di più nel 2021, sempre che nel frattempo l’instabilità politica non faccia arretrare ulteriormente l’economia italiana, spingendo altre decine di migliaia di giovani a cercare fortuna all’estero, come già sta avvenendo da anni. 

A questo proposito sarebbe bene, mentre si straparla a proposito di “invasione straniera” in Italia, ricordare che negli ultimi cinque anni oltre mezzo milione di italiani sono emigrati all’estero, 130.000 solo l’anno scorso.

Sono noiosi fin che si vuole i molti numeri citati sopra, ma possono dare un’idea di dove siamo finiti e farci capire che potrebbe non essere ancora finita.

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