Manca poco più di un mese all’insediamento di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti e i contorni dei futuri rapporti con l’Unione Europea cominciano a delinearsi con chiarezza, per la verità più dall’altra sponda dell’Atlantico che non in casa nostra.
Intanto già fa riflettere la “variabile tempo” che ha visto il vecchio/nuovo presidente USA procedere molto rapidamente con l’allestimento in corso della sua Amministrazione, diversamente da quanto avvenuto nell’UE che ha impiegato cinque mesi per completare la sua plancia di comando, dalle elezioni di inizio giugno all’insediamento il 1° dicembre per i presidenti di Commissione e Consiglio europeo.
Si tratta di un differenziale che delinea un’asimmetria politico-istituzionale tra le due realtà: da una parte un enorme potere concentrato nella presidenza USA, in grado di controllare Congresso e Corte suprema e determinata a liberarsi del presidente della Banca centrale, la Federal Reserve, senza contare i propositi di epurazione tra gli alti funzionari americani in esercizio.
Nell’UE tutt’altra musica: una presidenza del Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo con scarsi poteri, quasi solo quello di stimolare i 27 a ridurre le loro divergenze, senza strumenti vincolanti per riuscirci; una presidenza della Commissione debole e fragile come non mai nella storia comunitaria e un Parlamento europeo frammentato tra troppi partiti e con una forte componente determinata a demolire l’Unione.
Ma altri differenziali completano il quadro di questa asimmetria complessiva tra le forze USA e le debolezze UE, da quello economico e commerciale a quello militare.
Sul versante economico i dati parlano chiaro: a fronte di una crescita europea stagnante, attorno all’1% del Prodotto interno lordo, e con la Germania in recessione, gli Stati Uniti avanzano con un ritmo che è più del doppio e un tasso di disoccupazione che, nonostante un rallentamento in questi ultimi mesi, resta attorno al 4% contro il 6,5% nell’Unione Europea.
Sembrerebbe giocare in senso opposto il peso della bilancia commerciale, un differenziale che rivela una debolezza USA, occasione per Trump di trasformarla in una guerra di dazi per ristabilirne gli equilibri. E anche qui i dati parlano chiaro: l’eccedenza delle esportazioni in favore dell’Unione Europea è stata nel 2023 di 136 miliardi di euro, con Germania ed Italia in testa alla classifica e quindi maggiormente esposte dal protezionismo americano in vista, annunciato con dazi mirati tra il 10 e il 20%, all’origine di un rischio di guerra commerciale.
Una guerra che, oltre a raffreddare l’insieme dell’economia mondiale, potrebbe provocare una riduzione del PIL europeo tra l’1 e il 2%, con tutte le conseguenze prevedibili su un’industria manifatturiera europea in crisi e, per l’Italia, con una pesante minaccia sulle esportazioni, in particolare dei prodotti agroalimentari.
Come se non bastasse, con le guerre in corso ai nostri confini e la prospettiva di una riduzione del sostegno militare americano all’Ucraina, sarà bene mettere in conto anche il differenziale della spesa militare tra le due sponde dell’Atlantico.
Nel 2023, a fronte della spesa militare USA di 916 miliardi di dollari quella dei 27 Paesi UE è stata “solo” di 312 miliardi, tanti per le nostre economie e per l’impatto sul welfare, ma con molti Paesi UE ancora sotto la soglia di quel 2% del PIL destinato alla spesa militare, insistentemente richiesto dagli USA, fin dalla presidenza di Obama, e che Trump ha già annunciato potrebbe non essere sufficiente, con alcuni Paesi alleati che hanno già alzato la loro spesa militare al di sopra anche di molto di quella soglia, come nel caso della Polonia e dei Paesi baltici.
Nelle dure trattative che si annunciano, gli alleati europei non mancheranno di far valere anche un altro differenziale: quello relativo all’approvvigionamento europeo di armamenti che per il 63% sono comprati sul mercato americano come, non a caso, ha ricordato Mario Draghi nel suo recente Rapporto.
Sarà interessante vedere come verrà avviata una prima tornata negoziale tra UE e USA, ma senza farsi troppe illusioni, visti i rapporti di forza in campo.