Unione Europea: richiamo alle regole condivise

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I tempi sono difficili, l’appello agli interessi nazionali e la complessità delle regole comunitarie spingono alcuni Paesi UE a spingersi ai bordi, se non oltre, di quanto pattuito con la libera sottoscrizione dei Trattati europei.

Il caso più clamoroso è sicuramente quello dell’Ungheria per la quale la Commissione europea, nella sua funzione di “guardiana dei Trattati”, propone di congelare i fondi europei che le erano destinati per un importo di 7,5 miliardi di euro e quelli ancora sospesi del “Piano nazionale di ripresa e resilienza”, per un ammontare di altri 5,8 miliardi. Una misura pesante ed inedita nella storia dell’UE, motivata dalle mancate misure in materia di lotta alla corruzione e per il non rispetto dell’indipendenza della magistratura da parte del governo di Viktor Orban.

Altre infrazioni meno gravi coinvolgono tutti i Paesi UE, una lista nera nella quale si distingue l’Italia, che di infrazioni alle regole comunitarie ne totalizzava a ottobre scorso ben 82, di cui 57 per violazione del diritto dell’Unione e 25 per mancato recepimento di direttive.

A questo quadro non proprio incoraggiante per l’Italia si aggiungono recenti orientamenti politici nella nuova maggioranza di governo che, allo stato, non configurano ancora formali infrazioni ma rivelano una tendenza ad andare oltre orientamenti chiaramente adottati a livello comunitario.

E’ il caso del recente della bocciatura, con un “atto di indirizzo”, del “salario minimo” previsto da una Direttiva UE: ha votato in favore della bocciatura, per ora non definitiva, tutta la maggioranza di governo, mentre ha votato contro ma divisa l’opposizione.

Altre tensioni con le regole comunitarie si annunciano nella legge di bilancio all’esame adesso del Parlamento per una sua adozione entro il 31 dicembre, pena l’esercizio provvisorio che limiterebbe  fortemente la capacità di spesa da parte del governo. 

Sul tema si segnalano in particolare alcune misure con un importante impatto fiscale, come la rottamazione delle cartelle fiscali, la riduzione dell’obbligo dei pagamenti elettronici e l’innalzamento della soglia consentita per il contante, un’occasione di evasione fiscale nemmeno tanto nascosta, in un Paese che registra un’evasione annuale di circa 106 miliardi di euro.

Anche più rilevanti, per il loro impatto finanziario, eventuali forzature nell’utilizzo dei fondi europei, in particolare per il “Piano nazionale di ripresa e resilienza” per il quale si sollecitano deroghe e l’ostilità dichiarata alla possibilità di ricorrere al “Meccanismo europeo di stabilità”, quel famoso e provvisoriamente dimenticato strumento finanziario europeo destinato a sostenere Paesi in difficoltà finanziaria di fronte a situazioni eccezionali. Si tratta, per memoria, di un prestito che vincola gli Stati membri che lo ricevono ad attuare riforme fiscali, economiche e di vigilanza sui conti pubblici. Nella situazione della finanza pubblica che conosciamo in Italia si riaffaccia la spinta a farvi ricorso, malgrado la resistenza dell’attuale maggioranza di governo, pur confrontata a limiti di bilancio e chiamata a non incrementare il già enorme debito pubblico italiano.

Tra Roma e Bruxelles vi sono stati in questi due mesi scambi cordiali di valutazioni, che già hanno consentito di alzare la soglia del deficit annuale al 4,5%, ma è difficile che sia possibile fare molto di più, senza rischiare un pericoloso conflitto sul rispetto delle regole comunitarie.

Certo l’Italia non è l’Ungheria, ma è bene che si fermi in tempo.

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