Unione Europea, dieci anni con Mattarella e cinque con la BREXIT

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Ci sono anniversari interessanti da leggere insieme, specie quando su uno stesso spazio raccontano traiettorie diverse che non fa male raffrontare tra loro.

Dieci anni fa, il 3 febbraio 2015, Sergio Mattarella diventava Presidente della Repubblica italiana; cinque anni fa, il 30 gennaio 2020, il Regno Unito usciva dall’Unione Europea, segnando entrambi gli eventi una stagione molto particolare per l’Europa.

Con Mattarella l’Italia, Paese fondatore delle prime Comunità europee, ha vissuto un decennio complicato con una tradizionale alternanza di governi, ondeggiando spesso nella sua partecipazione al progetto di integrazione comunitaria, senza però rischiare più di tanto di allontanarsene, anche se spesso alcuni suoi provvisori governanti qualche tentazione l’abbiano avuta. Sbandamenti non di poco conto si sono registrati con i governi giallo-verdi, recuperati da correzioni successive, in particolare con i governi Gentiloni e Draghi, per poi tornare nelle nebbie europee con il governo Meloni.

Sono stati anche gli anni di diffusione in Europa di movimenti nazional-populisti, prevalentemente orientati a destra, anche estrema, che hanno cercato di contrastare il progetto di integrazione comunitaria, tentando in ogni occasione anche di farlo arretrare. In Italia vi hanno contribuito non poco la Lega e Fratelli d’Italia, ma non ha fatto mancare il suo contributo anche il Movimento Cinque stelle, al quale pure va ascritto parte del merito della decisione sul Next Generation Eu, dal quale proviene il nostro straordinario Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), con una dotazione di quasi 200 miliardi di euro.

Non è azzardato immaginare il ruolo di garante esercitato in queste alterne vicende dal nostro Presidente della Repubblica, costantemente presente per indurre in governi di qualunque colore a tenere la barra dritta verso la coesione politica europea, garantendo con la sua tenace “moral suasion” un’affidabilità di un Paese guardato da molti partner europei con sospetto.

E’ andata diversamente, nello stesso periodo, nel Regno Unito dopo l’azzardato referendum del 2016 e il conseguente balletto di governi conservatori, coinvolti in un negoziato per loro perdente nel divorzio dall’Unione Europea. Non è un mistero quanto si allarghino le dimensioni del rimpianto dell’opinione pubblica britannica per questa secessione, oggi difficile da recuperare. Ci sta provando, con tutte le cautele del caso, il nuovo Premier laburista, Keir Starmer, alla guida del governo dal luglio scorso. Si tratta di un recupero difficile per l’orgoglio britannico, che non impedisce però un progressivo riavvicinamento all’Unione Europea, in particolare sul versante della difesa e della politica commerciale, come stiamo sperimentando in questi giorni di aggressioni, per ora solo verbali, di Donald Trump all’Europa, Regno Unito compreso.

Non è un caso che in materia di difesa sia in via di formazione un’alleanza di Paesi UE (Germania, Francia, Polonia, Spagna e Italia) proprio con il Regno Unito, l’altra potenza nucleare Europea con la Francia.

Inutile oggi piangere sul latte versato nel Regno Unito, riconoscenti però al nostro Presidente di avere preservato l’Italia da errori che oggi ci sarebbero fatali, con la speranza che, anche in questa difficile congiuntura euro-americana, il suo magistero aiuti i molti nostri dilettanti della politica internazionale a tenere a galla la barca e a dirigerla verso porti europei sicuri.

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