Basterebbe uno sguardo alla cartina del mondo per accorgersi quanto sia difficile trovarvi al primo colpo l’immagine dell’Europa, tanto è minuscolo questo non-continente, appena un “piccolo promontorio dell’Asia”, come ci è stato ricordato dallo scrittore francese Paul Valéry.
Non va meglio se si misurano le dimensioni demografiche della piccola Unione Europea con quelle del resto del mondo, non solo India e Cina ma anche Stati Uniti, Indonesia, Nigeria ed altri.
Se poi si passa a valutare la forza economica delle maggiori potenze non tardiamo a scoprire che le prospettive di crescita non ci vedono certamente tra le prime in classifica, anche se manteniamo ancora una forte capacità commerciale, oggi minacciata dai ricatti dei dazi USA.
Va peggio ancora, o meglio per la pace a cui aspiriamo in Europa, un raffronto sulla forza militare dei Paesi UE dopo che abbiamo visto la gigantesca e costosa parata militare cinese a Pechino, in quella piazza Tienanmen di non felice memoria per il rispetto dei diritti fondamentali.
Sorge allora spontanea la domanda: come reggere in queste condizioni all’agguerrita competizione mondiale e far valere un nostro ruolo a livello internazionale che difficilmente può essere politico se non è accompagnato da importanti leve economiche e finanziarie? O, in altre parole, come essere competitivi come Unione per permetterle di competere nel resto del mondo?
Fin dai suoi inizi il progetto di integrazione comunitaria ha individuato nella cooperazione sempre più stretta tra i Paesi europei la strada per assicurare un protagonismo alla nascente Comunità di sei partner, a metà del secolo scorso, diventata oggi l’Unione a Ventisette, nell’attesa tra qualche anno di contare un’altra decina di adesioni.
Ma cooperare non è impresa facile tra piccoli “Staterelli sovrani”, gelosi di un potere che evapora di giorno in giorno, e con essi i valori fondativi del progetto di integrazione comunitaria, la forza delle sue Istituzioni e l’efficacia delle sue politiche.
I valori restano quelli fondamentali della democrazia, della libertà e della solidarietà, dei quali conosciamo l’erosione nell’Unione, mentre nel resto del mondo sono tranquillamente calpestati. Delle Istituzioni comunitarie sperimentiamo la complessità e la progressiva incapacità a dare risposte tempestive e condivise alle attese dei cittadini, mentre assistiamo all’indebolimento delle poche politiche comuni adottate, proprio mentre nuove politiche comunitarie, come quella estera e di difesa e quella fiscale, sarebbero urgenti ed indispensabili, ma di là da venire.
Abbiamo in questi tempi difficili molte occasioni nell’UE per cooperare, altrettante opportunità da non perdere: da politiche di sviluppo economico a quelle per la protezione da possibili aggressioni esterne, ma anche per rispondere all’aggravamento delle diseguaglianze interne; da nuove intese commerciali, come l’accordo con il Mercosur (Brasile, Argentina, Paraguay e Uruguay), non senza problemi per l’agricoltura europea, fino a una ripresa di dialogo politico con il Regno Unito, ma anche con Canada, Giappone vittime anch’essi dei dazi di Trump.
Per non perdere queste occasioni bisognerà migliorare il funzionamento delle Istituzioni, avvalendoci fin da subito delle regole esistenti per scoraggiare i sabotaggi di Ungheria e Slovacchia, ma non solo, e traendone chiara lezione in vista degli impegnativi allargamenti futuri, dai Paesi balcanici all’Ucraina.
Tutto questo però è appena una “manutenzione ordinaria” dell’Unione, utile non solo per la “riduzione del danno” per la mancata cooperazione, ma anche per aprire il cantiere di una “manutenzione straordinaria” con la riforma dei Trattati, per riprendere “con chi ci sta” la strada verso una progressiva sovranità europea, la sola in grado di consentire all’Unione di competere nel mondo di oggi con la speranza, in un domani pacificato, cooperare tutti insieme.