UE, troppo paziente con l’Ungheria

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Doveva esserci una decisione il 6 dicembre in occasione della riunione del Consiglio UE dei ministri delle finanze sulla proposta della Commissione europea di congelare i fondi europei all’Ungheria per le infrazioni allo Stato di diritto e questo dopo che a lungo si era pazientato con la speranza di condurre Viktor Orban al rispetto dei Trattati UE dall’Ungheria liberamente sottoscritti.

Invece i ministri delle finanze UE hanno ancora una volta deciso di non decidere, rinviando la decisione entro la fine dell’anno, salvo che qualcosa intervenga a metà di dicembre, con il Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo.

Riassumiamo il contenzioso nelle sue diverse componenti. Da una parte la Commissione europea, “guardiana dei Trattati” che, constata l’assenza di risposte convincenti da parte di Orban sul non rispetto delle regole della democrazia e sulla lotta alla corruzione, ha proposto al Consiglio dei governi nazionali di bloccare il versamento di oltre 13 miliardi di euro all’Ungheria, sottoponendo la proposta al voto a maggioranza qualificata. 

Dall’altra parte Orban, con il coltello per il manico grazie al voto all’unanimità, in grado di bloccare la destinazione di 18 miliardi di euro all’Ucraina e l’adozione di misure di fiscalità internazionale, tenendo di riserva anche l’arma del veto all’ingresso nella NATO di Svezia e Finlandia. Facile capire come sarebbe andata a finire: rinviata dal Consiglio dei ministri la decisione sulla sanzione all’Ungheria, il prezzo da pagare al ricatto ungherese del voto all’unanimità.

Tradotto, un grosso problema non solo per l’Ungheria (che pure vive dei contributi europei), ma per l’Unione Europea, la sua credibilità e la sua democrazia. Un problema tanto più grave che sull’argomento l’UE si è spaccata, con Germania, Francia, Italia e Polonia che si sono espresse in favore del rinvio della decisione.

Viene da chiedersi perché così tanta pazienza e “comprensione” per l’autocrate di Budapest. Certamente in questa Unione funziona l’arma del ricatto del voto all’unanimità, ma forse c’è anche dell’altro. Potrebbe essere che i governi nazionali abbiano ritenuto troppo severa la sanzione proposta dalla Commissione, sostenuta da una larga maggioranza del Parlamento europeo, paventando il rischio che un giorno un’analoga severità potesse indirizzarsi verso altri Paesi UE, peggio ancora se con un peso politico ben più grande di quello dell’Ungheria. E’ inquietante che Paesi “democratici” come la Germania, la Francia e, ancora, l’Italia (per la Polonia è tutta un’altra storia) non abbiano trovato il coraggio di mettere fine a questa lunga pazienza.

E “pazienza” potrebbe essere la parola chiave di tutta questa vicenda, da interpretare non come la “virtù dei forti”, ma come la rassegnazione dei deboli, di chi conoscendo le magagne di casa propria si guarda bene da alzare la voce col vicino che ha solo commesso l’errore di essersi spinto troppo oltre. Fino a provocare l’intervento della Commissione europea a Bruxelles e della Corte europea di giustizia a Lussemburgo, chiamati a vigilare sulla fedeltà ai Trattati di tutti i Paesi UE, con il Parlamento di Strasburgo che non tarderà a farsi sentire: sarà un’occasione per capire da che parte si schierano in Italia i partiti dell’attuale maggioranza di governo.

Così un’altra non bella pagina è stata scritta da questa Unione che dimostra poco coraggio, prigioniera com’è di interessi nazionali divergenti e di un deriva intergovernativa che sta mettendo a rischio la stabilità dell’edificio comunitario.

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