Mezzo secolo fa, a gennaio 1973, l’allora poco più che ventenne Comunità europea si apriva a nord a nuovi partner: Regno Unito, Irlanda e Danimarca. Cinquant’anni dopo, il primo ospite ha tolto il disturbo, l’Irlanda si è stretta al continente e la Danimarca continua a rimanere sui bordi dell’Unione, senza la moneta unica e restando fuori da alcune politiche comuni.
Tre storie diverse che, in una certa misura, raccontano di un’Unione Europea alla ricerca, con diversa intensità, di una difficile coesione in nome della solidarietà.
Verrebbe da dire che invocano solidarietà i Paesi in difficoltà, la praticano poco quanti sono interessati alla sola competizione del mercato, si barcamenano i Paesi non troppo disponibili a condividere risorse, ritenendo di potersi bastare (guerra permettendo).
Va avanti così, come può, l’avventura dell’integrazione europea, allargandosi nello spazio e ritardando nel tempo il processo di integrazione politica, obiettivo implicito fin dalla sua fondazione a metà degli anni ‘50.
Ma se la pazienza è la forza dei lunghi e complessi processi istituzionali di aggregazione, rischia anche di essere una debolezza per i cittadini che da troppo tempo attendono risultati concreti e vedono crescere le delusioni.
Dirà qualcuno che siamo a metà del guado, altri vedono piuttosto la barca prendere acqua e deviare dalla rotta.
Qualcosa del genere è capitato in questi ultimi cinquant’anni nell’UE. Si sono più che quadruplicati i Paesi che ne fanno parte e un’altra decina aspetta di entrarvi. Sono cresciute nel tempo le politiche condivise e dall’inizio dell’anno l’euro, con l’arrivo della Croazia, è la moneta di venti Paesi.
Si sono rafforzati i poteri del Parlamento europeo, al punto da essere preda di tentativi di corruzione, ma le leve principali delle decisioni rimangono saldamente nelle mani dei governi nazionali, di Germania e Francia in particolare.
Negli anni sono progrediti i diritti delle persone ma in alcuni Paesi scricchiola lo Stato di diritto, come in Ungheria ma non solo.
Le molte crisi che hanno segnato a fondo, in questo mezzo secolo, l’economia e la società europea non hanno mandato a fondo il nostro straordinario sistema di welfare ma lo stanno progressivamente minando, sotto i colpi di diseguaglianze crescenti.
Restiamo la prima potenza commerciale del mondo ma dobbiamo fare i conti con competizioni crescenti e aggressive, non solo dalla Cina ma anche dagli Stati Uniti e da nuove potenze emergenti.
Abbiamo vissuto in provvisoria pace – piuttosto di tregua si dovrebbe parlare – per settant’anni, mentre le guerre riprendevano ai nostri confini, prima nei Balcani e adesso in Ucraina, senza dimenticare Medio Oriente e dintorni.
E così fanno oltre settant’anni di pazienza: da parte di chi ha continuato a lavorare nel cantiere Europa e di chi ha continuato a sperare che la costruzione arrivasse, se non a compimento, almeno molto vicino.
Adesso che della nostra casa comune bisogna ripensare anche le fondamenta e tutte le sue strutture, pazienza e speranza rischiano di esaurirsi.