Sembra essersi arrestato il cammino che avrebbe dovuto portare la Turchia nell’Unione Europea e l’UE ad avventurarsi al di là del Bosforo, nella direzione di una regione, quella mediorientale, tanto interessante economicamente quanto instabile politicamente.
Era un cammino iniziato ormai tanti anni fa, fin da quando l’allora Comunità europea nel 1963 firmò un Trattato di Associazione con la Turchia, possibile preludio a un processo di integrazione che, realizzata l’unione doganale, avrebbe un giorno potuto approdare ad un ingresso a pieno titolo nell’UE, come testimoniò nel 2005 l’apertura di negoziati per l’adesione.
Nel frattempo l’avvicinamento progredì senza battute di arresto: nel 1987 la Turchia presentò la sua candidatura all’adesione, nel 1999 il Consiglio europeo UE rispose positivamente e invitò la Turchia a Roma nel 2004, associandola alla firma – quella di Recep Erdogan – del Progetto di Costituzione europea. I negoziati formali per l’adesione cominciarono nell’ottobre 2005, pochi mesi dopo l’affondamento del Progetto di costituzione da parte di Francia e Olanda e con pesanti riserve da parte di Cipro e Austria. Da allora la strada è proseguita tutta in salita, in un contesto sempre più problematico, non solo per l’impatto della crisi economica ma più ancora per l’evoluzione politica tanto dell’UE che della Turchia.
Nell’UE, già incerta fin dall’avvio dei negoziati, alcuni Paesi – in particolare Francia e Germania – cominciarono a frenare, senza tuttavia impedire ai negoziati di proseguire nelle segrete stanze di Bruxelles, lasciando balenare un possibile esito positivo, anche se dilazionato lontano nel tempo, vista anche la priorità di procedere all’integrazione dei Paesi entrati nell’UE ad inizio 2000.
Intanto andava mutando anche l’atteggiamento della Turchia, tentata da un ruolo di leadership nella regione mediorientale, dove si andavano ridisegnando nuove alleanze dopo i molti conflitti tuttora in corso e dove si rafforzava l’orientamento in favore di un’identità islamica che non risparmiò la Turchia. Le conseguenze non tardarono a farsi sentire: l’opinione pubblica UE, sebbene non senza esitazioni, maggioritariamente in favore dell’adesione della Turchia e quella turca, fortemente in favore dell’approdo nell’UE a metà degli anni ’80, sono mutate di segno in questo ultimo decennio, diventando entrambe pesantemente ostili all’ingresso della Turchia nell’UE.
È anche su questo sfondo che si colloca il coraggioso intervento di papa Francesco sul “genocidio” degli Armeni, di cui si rese responsabile nel 1915 l’allora impero ottomano con i “Giovani turchi”: un intervento che molto ha irritato il governo turco e non sarà privo di altre conseguenze, proprio da parte del “sultano Erdogan” non senza nostalgie per il passato ottomano.
Tuttavia non va dimenticato il contesto molto complesso cui fa riferimento il discorso del Papa: da una parte, il richiamo ai genocidi che hanno insanguinato l’Europa nel Novecento e di cui si sta rischiando di perdere la memoria e le violenze che si stanno allargando a est e a sud dell’Europa contro i cristiani, oltre che tra i musulmani nel conflitto in corso tra sunniti e sciiti.
Il meno che si possa dire è che tutta l’area mediorientale sta attraversando un periodo di forti turbolenze politiche, con l’occhio del ciclone sul Mediterraneo e dintorni, dove si sta ridisegnando la mappa geopolitica della regione e, con essa, interessi economici e nuove alleanze. Uno dei perni futuri di questo sconvolgimento sarà probabilmente l’Iran, un vicino con il quale la Turchia, membro della NATO, dovrà fare i conti. E sempre che l’UE trovi una soluzione per il problema della Grecia, anch’essa parte della stessa alleanza militare, ma tentata dal ripristino di suoi antichi rapporti privilegiati, per ora non militari ma economici e politici, con la Russia.
Chi scrisse, all’indomani della caduta del Muro di Berlino che “la storia era finita”, se già non l’ha fatto, non avrà più molto tempo per ricredersi.