In un clima che da mesi diventava sempre più incandescente, l’uccisione da parte degli Stati Uniti del Generale iraniano Qassem Soleimani ha segnato un ulteriore e pericoloso passo avanti nelle tensioni fra Teheran e Washington. Sembra infatti che quel precario equilibrio mantenuto fino a pochi giorni fa per non superare una fatidica linea rossa sia stato definitivamente rimesso in gioco, aprendo in tal modo la prospettiva di incerti e nuovi scenari di crisi, sia a livello regionale che a livello internazionale.
L’assassinio del Generale rappresenta un colpo inferto al cuore del potere iraniano e benché le giustificazioni di Trump siano state quelle di reagire all’attacco dell’ambasciata americana a Baghdad e, nell’ottica di una difesa preventiva, di voler “fermare una guerra” alle porte, certo è che gli Stati Uniti hanno invece creato le condizioni per una guerra aperta in Medio Oriente.
Si potrebbe tentare di capire le ragioni di una tale e grave decisione da parte di Trump, visto il ruolo di primo piano svolto dal Generale Suleimani sia sul piano interno al potere in Iran, sia su quello esterno e in particolare sullo scacchiere regionale. Si tratta di un’uccisione che si inserisce nella strategia della massima pressione sull’Iran, praticata dal Presidente statunitense fin dall’uscita dall’accordo sul nucleare e continuata con le pesanti sanzioni economiche che stanno mettendo in gravi difficoltà il Paese e la sua popolazione. Trump, ormai entrato in campagna elettorale, ha giocato quindi una carta forte, quasi definitiva con l’Iran, mettendo praticamente fine alla possibilità di un dialogo o di un negoziato fra Washington e Teheran e togliendo di mezzo l’uomo che più di ogni altro, da anni a questa parte, era l’artefice della presenza iraniana sciita nella regione, dall’Iraq, al Libano e alla Siria.
Le conseguenze di un’azione cosi’ carica di rischi, e senza giustificazione nel diritto internazionale umanitario, sono per il momento imprevedibili, ma aprono certamente possibilità di manovra a tutti gli attori, iraniani e regionali, ostili alla presenza degli Stati Uniti in Medio Oriente. L’Iran, profondamente scosso, ha promesso che l’assassinio del Generale non rimarrà impunito, facendo salire naturalmente il livello di una temibile escalation. E gli obiettivi iraniani potrebbero non limitarsi agli interessi statunitensi nella regione, ma potrebbero colpire anche gli alleati USA, quali Israele, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti. E, ad indicare il livello di tensione raggiunto, è la decisione di Trump, contraddicendo precedenti dichiarazioni, di inviare consistenti rinforzi militari nella regione.
Sta di fatto che la prima reazione è la dichiarazione di Teheran di non rispettare più gli impegni presi con l’accordo del 2015 sullo sviluppo del nucleare e quindi di non porre limiti all’arricchimento dell’uranio. Un accordo faticosamente elaborato negli anni con la comunità internazionale, Stati Uniti compresi, e che lasciava presagire prospettive di distensione nei rapporti, conflittuali ormai da circa quarant’anni, fra USA e Iran. Evidentemente tali prospettive non erano nelle intenzioni politiche di Trump.
Colpisce infine il timido richiamo dell’Unione Europea a disinnescare le tensioni e ad evitare un’ulteriore escalation. Sono purtroppo di nuovo le divisioni interne e le politiche nazionali ad affrontare, in ordine sparso e con prudente attenzione ai rispettivi interessi, una situazione cosi’ incandescente e che si consuma nel vicino Medio Oriente.