
Ancora guerra in Africa. L’attualità internazionale ci porta ad assistere all’ennesima guerra in quel continente, immenso, che si affaccia sulle frontiere meridionali dell’Europa. Il Sudan, il terzo paese più grande dell’Africa è di nuovo messo a ferro e a fuoco da due signori della guerra, il Presidente Abdel-Fattah al Burhan, capo delle forze armate sudanesi e il vice presidente Hamdan Dagalo, a capo delle forze paramilitari di supporto rapido (RSF).
Le vittime si contano ormai a centinaia e il fatto che sia iniziata l’evacuazione dei cittadini stranieri, lascia fortemente temere che una tregua non sia prevista a breve scadenza. La storia del Sudan, almeno dalla sua indipendenza nel 1956, è caratterizzata da continue tensioni etniche e confessionali (islam al nord, cristiani e animisti a sud) sfociate in almeno due guerre civili e da una povertà cronica e profonda. Il 2011 è stato inoltre segnato dalla secessione del sud del Paese, diventato indipendente come Sudan del Sud.
Anno significativo per la storia del Sudan è senz’altro il 1989, anno dell’arrivo al potere di Omar Al Bashir, che per trent’anni è stato Presidente e dittatore a Khartoum. Tanto dittatore da essere accusato dalla Corte Penale Internazionale di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Nel 2019, altro anno di rilevante importanza, una consistente rivolta popolare, guidata in particolare dalle donne e pericolosamente sostenuta dall’esercito, depone il Presidente dittatore, chiede riforme economiche, libertà e una transizione verso la democrazia. Un’aspirazione della popolazione che non era mai venuta meno negli ultimi anni di dittatura e che sembrava prendere avvio con l’uscita di scena di Omar al Bashir.
Il nuovo Governo composto da militari e civili, con il compito, in particolare, di rimediare alla catastrofica situazione economica del Paese e migliorare le condizioni di vita della popolazione, non ha avuto lunga vita e si è infranto, nel 2021, contro un colpo di stato dei militari. Militari che non avevano mai avuto l’intenzione di favorire una transizione verso un governo civile e democratico, ma di mantenere uno statu quo e di far tacere il più possibile le rivendicazioni della società civile.
Nasce così un altro Governo, il Consiglio sovrano, una sorta di alleanza militare che svolge la funzione di capo di Stato. Ed è proprio dalla rivalità interna per il potere e per gli interessi che rappresenta fra i due signori della guerra sopra citati, Presidente e Vice Presidente, che è scoppiato questa nuovo conflitto, riportando il Paese sull’orlo della guerra civile e allontanando sempre più quel processo di transizione democratica immaginato nel 2019.
A guardare la cartina geografica, appare immediatamente evidente la centralità del Sudan da un punto di vista geopolitico, all’incrocio del Golfo Persico, dell’Africa dell’Est e dell’Africa del Nord. Con sette Paesi ai suoi confini, il Sudan è punto di snodo delle dinamiche politiche, militari e commerciali provenienti dal Corno d’Africa, dal Mar Rosso e dal Sahel. La sua stabilità è quindi importante per l’insieme della stabilità regionale, in particolare per Paesi come l’Egitto, l’Arabia saudita o gli Emirati arabi Uniti, in prima linea per una mediazione o per un cessate il fuoco finora inascoltati dalle parti in conflitto. Una stabilità regionale che allunga le sue ombre anche sulla Libia, sullo Yemen, sull’Etiopia, sull’Eritrea e sul Sud Sudan, ricco quest’ultimo di risorse petrolifere.
Non solo, ma il Sudan, Paese ricco di risorse aurifere, è anche Paese di grande interesse per la Russia, a cominciare dall’accordo fra Mosca e Khartoum per l’accesso delle navi da guerra russe nella base navale di Port Sudan. Un affaccio di rilevante importanza militare sull’Oceano indiano e su una vasta area del continente africano.
Nel frattempo la guerra in Sudan continua, con il suo carico di violenze e di vittime, senza che all’orizzonte appaia lo spiraglio di una tregua e ancor meno della pace e con la prospettiva di alimentare nuovi e tragici flussi migratori.