In un Medio Oriente attraversato da molteplici turbolenze, poco si parla della guerra che si consuma nello Yemen e del suo fragile “cessate il fuoco”, entrato in vigore domenica 10 aprile. E’ una guerra di cui è difficile segnare con esattezza l’inizio per le diverse forme che ha assunto nel corso degli anni, ma che si è concentrata, dopo un effimera primavera araba nel 2011, prima in un conflitto interno che oppone i ribelli sciiti Houthi e le forze leali sunnite al Presidente Abd Rabbo Mansour Hadi, in esilio. Il conflitto, sul crinale della divisione tra sunniti e sciiti, si è velocemente trasformato, un anno fa, in un conflitto regionale con l’intervento militare dell’Arabia saudita e di altri Paesi arabi a fianco del Presidente Hadi e contro i ribelli sciiti, considerati da Riyad come una testa di ponte dell’Iran alle sue frontiere meridionali.
La tregua dichiarata il 10 aprile, se rispettata dalle parti in conflitto, dovrebbe portare, sotto l’egida dell’ONU, all’apertura di colloqui di pace in Kuwait, il prossimo 18 aprile. Si tratta di un esiguo spiraglio di speranza per mettere fine, o almeno limitare, il disastro umanitario in corso e che avrà conseguenze che si protrarranno per lunghi anni a venire.
Purtroppo, ad alimentare il terrore, la violenza e la distruzione, sono attivamente presenti anche i gruppi terroristici di Al Qaeda e del sedicente Stato islamico, in continua espansione grazie appunto alla guerra civile in corso.
Dall’inizio dell’intervento militare della coalizione araba, le cifre delle vittime appaiono impressionanti : 6000 morti, 36.000 feriti, 2,5 milioni di sfollati interni e più di 175.000 persone costrette all’esilio, in particolare nella Penisola Arabica e nel Corno d’Africa. Considerato il Paese più povero del Medio Oriente, lo Yemen è in preda ad una vera emergenza umanitaria: 80% della sua popolazione necessita di viveri, casa, acqua, scuole, ospedali, senza contare gli effetti delle incessanti violazioni dei più elementari diritti umani. La loro fuga anche verso l’Europa, attraverso il deserto del Sudan, la Libia e il Mediterraneo, sembra ormai solo una questione di tempo, visto che alcuni richiedenti asilo yemeniti sono giunti miracolosamente in questi ultimi giorni a Lampedusa.
Parlare dei migranti porta purtroppo a considerare l’atteggiamento dell’Europa per quanto riguarda le sue politiche di accoglienza e di rispetto del diritto d’asilo. Dopo l’accordo firmato con la Turchia, che certamente non fa onore ai valori a cui dovrebbe ispirarsi un Premio Nobel per la Pace, ci giungono immagini ed atteggiamenti inaccettabili nei confronti dei rifugiati lungo varie frontiere dell’Europa. A Idomeni, ad esempio, la polizia macedone ha lanciato gaz lacrimogeni ferendo trecento persone intrappolate fra la frontiera greca e quella macedone, impedendo loro di continuare, con i loro bimbi e le loro poche cose, il viaggio verso il Nord dell’Europa. Ma la fortezza Europa non si ferma qui: dopo l’Ungheria, la Slovenia e la Croazia, anche l’Austria si appresta ad erigere un muro contro i migranti, al Brennero, proprio al confine con l’Italia.
E dire che, per un breve periodo di tempo, molti cittadini europei avevano sperato nella caduta di un muro e nella costruzione di ponti di dialogo e di pace.