Rapporto Censis: l’Italia del 2016

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Puntuale ormai da mezzo secolo, anche quest’anno a dicembre, è arrivato il Rapporto del Censis (Centro Studi Investimenti Sociali) sulla situazione sociale dell’Italia.

Non proprio un regalo di Natale, visto il prezzo (45€) del corposo volume di quasi 600 pagine, ma sicuramente un contributo utile a capire qualcosa di questo nostro strano Paese- calabrone, che riesce a volare nonostante il suo peso sembri impedirglielo. Prova a raccontarlo questo 50° Rapporto, sempre più uguale a se stesso per un linguaggio che si vuole immaginifico su temi a tratti noiosetti, con molti numeri e percentuali, incistato di troppe locuzioni inglesi anche quando non sarebbe necessario, con gran dispetto dei cultori della lingua italiana e non solo dei sacri custodi dell’Accademia della Crusca.

Per non rischiare anche noi la noia di un riassunto che non renderebbe giustizia a chi ha meritoriamente lavorato al Rapporto, meglio limitarsi ad alcuni spunti suggeriti da comparazioni tra le performance (in inglese, naturalmente) dell’Italia e quelle dell’Europa, in particolare in materia di istruzione e ricerca, con un focus (dal latino, ma ormai scippato dall’inglese) sul capitolo “Sicurezza e cittadinanza”, dove si parla di immigrazione. Siamo nella parte quarta e ultima del Rapporto dal titolo un po’ criptico “Mezzi e processi”, dopo le “Considerazioni generali”, “La società italiana al 2016” e i “Settori e soggetti del sociale”, la parte centrale che analizza lo stato di salute dell’Italia dai processi formativi, al lavoro, professionalità, rappresentanze; dal sistema di welfare al territorio e reti fino ai soggetti economici dello sviluppo.

E’ da queste tre prime parti del Rapporto che può essere interessante trarre alcuni spunti comparativi tra l’Italia e l’Unione Europea, complementari ad altri confronti e numeri ricordati in questa stessa pagina, prima di accennare al focus sull’immigrazione.

Si parte dall’incidenza degli investimenti sul Pil con l’Italia che con il suo 16,6% “si colloca a grande distanza dalla media europea (19,5%)” e da grandi Paesi come Francia, Germania e Spagna, “ma da questo punto di vista è tornata ai livelli minimi dal dopoguerra”. E a proposito di investimenti, meritano in particolare tutta la nostra attenzione quelli relativi all’istruzione e alla ricerca, uno dei tanti punti deboli del nostro Paese: “Rispetto a quindici anni prima questa tipologia di spesa si è contratta di quasi dodici punti percentuali (- 11,9%). L’ammontare investito nel 2015 in istruzione è pari al 3,5% del Pil…pari a -0,4% di quanto investito nell’anno 2000”. Le tabelle comparative che seguono parlano chiaro: per l’istruzione ci precedono e di molto Paesi come Svezia, Belgio, Cipro e Finlandia, ma anche molti degli altri Paesi UE.

Non va molto meglio per gli investimenti sulla ricerca scientifica e lo sviluppo, dove si evidenzia una tendenziale contrazione, anche se “la spesa in ricerca e sviluppo in Italia tra il 2010 e il 2014 ha registrato un andamento coerente con quello della spesa media europea, pur restandone ampiamente al di sotto…La spesa media UE28 pari all’1,93% del Pil nel 2010 è salita nel 2014 al 2,03%, mentre quella italiana è passata da 1,22% di inizio periodo a 1,29% di fine periodo”.

Non poteva naturalmente mancare nel Rapporto un focus sul tema migrazioni. Dopo aver ricordato l’inversione demografica che aspetta l’Europa: la sua popolazione rappresentava “nel 1950 il 22% della popolazione mondiale e quella dell’Africa Sub-Sahariana il 7%”, con percentuali previste nel 2050 “esattamente invertite…con oltre una persona su quattro del pianeta che tra pochi anni vivrà nel continente africano”, da dove partono importanti flussi migratori.

Questo tema è affrontato nell’ultimo capitolo del Rapporto, con titoli che vanno da “La scommessa sul futuro dell’integrazione si gioca in Europa” a “Senza stranieri il rischio è il declino”, da “La paura degli stranieri e il bisogno di risposte condivise” a “Il modello italiano di integrazione alla prova delle seconde generazioni”.

Dopo aver ricordato che “i dati demografici ci dicono che i migranti rappresentano energia vitale e forza propulsiva per una società che invecchia”, il Rapporto invoca un maggiore impegno del governo per una strategia condivisa di accoglienza, “non sottovalutando i timori che vengono dalle diverse società europee (il 48% dei cittadini europei è convinto che l’immigrazione sia il principale problema che deve affrontare l’Unione) e insieme trovando il modo di contrastare le pericolose derive populiste che si vanno affermando”. La percezione dei flussi migratori si aggrava anche perché è accompagnata dalla paura del terrorismo, indicato come una la seconda questione prioritaria per l’UE dopo l’immigrazione, dal 39% dei cittadini dell’Unione e dal 34% di quelli italiani. In questo contesto, “a differenza di Francia, Regno Unito e Germania, che si trovano oggi a dover rivedere in toto le proprie strategie di inclusione sociale di giovani stranieri, sinora l’Italia ha potuto contare su almeno due vantaggi: in primo luogo, su un fenomeno migratorio più recente…in secondo luogo, sull’affermazione di un modello di integrazione, nato dal basso, in maniera spontanea e sulla base delle effettive necessità del mercato del lavoro…senza che si creassero particolari frizioni all’interno del corpo sociale”. Per concludere che “è sicuramente nella scuola…uno degli ambiti sociali su cui concentrare i maggiori sforzi per una buona integrazione”.

Purtroppo, visti gli investimenti ricordati sopra dell’Italia nella scuola, questa saggia considerazione rischia di essere una brutta notizia per il futuro del Paese.

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