Quando in Medio Oriente si accende un barlume di pace

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Parlare oggi della situazione in Medio Oriente significa cercar di capire i cambiamenti geopolitici e militari in corso ; significa parlare di tante guerre, di Gaza in particolare e delle terribili e inumane sofferenze della sua popolazione ; significa non intravedere la benché minima ombra di pace o di cessate il fuoco. 

In questo contesto è nata tuttavia una speranza di pace laddove i riflettori dell’attualità non hanno, da tempo, puntato il loro cono di luce : si tratta dei curdi del PKK (Partito dei lavoratori curdi), del loro abbandono delle armi e del loro futuro rapporto politico con la Turchia. Cosa non da poco, se si pensa che il PKK, nato nel 1979 nel sud est della Turchia, ha iniziato la sua lotta armata nei lontani anni Ottanta, con l’obiettivo di instaurare uno Stato curdo indipendente, non allineato. Il conflitto armato con la Turchia inizia nel 1984, un conflitto fratricida che ha causato migliaia di vittime e provocato più di due milioni di sfollati.

Considerato un movimento terrorista dalla Turchia, ma anche dagli Stati Uniti e dall’Unione Europa, il PKK ha quindi deciso, dopo quarant’anni, di ridisegnare le sue relazioni con la Turchia in chiave diplomatica, basate sul dialogo politico, su prospettive di pacifica convivenza e di partecipazione alla vita democratica del Paese. Una decisione considerata storica, sostenuta in Turchia dal partito filo-curdo DEM (Partito democratico dei Popoli e dell’Uguaglianza), terzo partito turco rappresentato in  Parlamento. 

Non sarà un processo di pace facile né per il Governo di Ankara né per i curdi, se si considerano, da una parte la problematica politica interna di Erdogan nei confronti dei politici e dei movimenti pro-curdi, spesso perseguitati o incarcerati e dall’altra, per quanto riguarda i curdi del PKK, gli stretti legami che quest’ultimo continua ad intrattenere con i curdi in Iraq, in Iran e in Siria. 

Va infatti ricordato qui che i curdi sono considerati come “il popolo senza Stato più numeroso al mondo”, sebbene abbiano spesso lottato, almeno fino agli anni Duemila per ottenerne uno. Oggi, in Turchia rappresentano una popolazione di più di 22 milioni (il 27% della popolazione), in Iran sono nove milioni (circa l’11% della popolazione), mentre in Iraq (8 milioni e 20% della popolazione) i curdi vivono in una regione autonoma dal 2005. In Siria sono circa 2 milioni (più del 10% della popolazione). I principali gruppi della comunità curda sono riuniti nelle Forze democratiche siriane (SDF), nate soprattutto per combattere il regime dittatoriale di Bachar al Assad. Da sei anni a questa parte amministrano autonomamente circa un terzo del territorio siriano, nel nord-est del Paese, dopo aver sconfitto, con il sostegno degli Stati Uniti, lo Stato islamico. 

Sarà, per la Turchia e per i curdi, un futuro tutto da scrivere e da negoziare. Il Presidente Erdogan ha accolto il disarmo del PKK definendolo la fine di un “capitolo doloroso” nella storia della Turchia. Ha ripercorso la storia del PKK sottolineando che, da partito che ha praticato “da oltre quarant’anni una guerriglia armata contro la Turchia e rivendicato la creazione di uno Stato curdo” è passato “alla conquista dei diritti dei curdi all’interno della Turchia”. 

E’ uno spiraglio di speranza per un processo di pace inatteso, in un momento in cui l’insieme del Medio Oriente è in rapido movimento e attraversato da molteplici conflitti dall’esito sempre più imprevedibile e sempre più lontano dalla ricerca di una pace duratura. 

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