
Stiamo ormai guardando con preoccupata attenzione al progressivo indebolimento del multilateralismo e delle Istituzioni internazionali nate dopo la Seconda guerra mondiale, come le Nazioni Unite o le sedi di cooperazione internazionale sulle questioni di interesse comune fra alcuni Paesi e a livello globale.
La constatazione, ormai in corso da qualche tempo, è di particolare evidenza in questi ultimi tempi, da quando gli Stati Uniti in particolare, grande potenza economica, con la nuova Presidenza di Donald Trump hanno fatto, al riguardo, un’inversione di marcia significativa nella loro politica estera, puntando a giocare un ruolo da protagonista assoluto sulla scena internazionale, escludendo il confronto e la cooperazione e privilegiando la forza e il ricatto nei rapporti con gran parte dei Paesi del mondo.
Gli esempi sono ormai tanti, dalle paci e tregue imposte sui teatri di guerra, in particolare in Medio Oriente, fino alla recente e quasi inaspettata iniziativa di pace sul fronte del conflitto in Ucraina. Iniziative di peso, dal forte impatto sul futuro di una pace duratura e giusta e del diritto internazionale, delineate fin dall’inizio senza il coinvolgimento e il dialogo con i diretti interessati e con altri attori e tanto meno con le Istituzioni internazionali.
Non solo, ma gli Stati Uniti possono soffiare anche venti di guerra, come ad esempio nei confronti del Venezuela, dove, in violazione del diritto internazionale, la pressione militare e politica degli USA sul Paese sta portando ad un’escalation e a un possibile conflitto dal forte impatto sulla stabilità, sulla pace e sulla sicurezza nella regione dei Caraibi. Senza contare le minacciose ingerenze, ormai a volto scoperto, nei processi elettorali di altri Paesi dell’America Latina, come in Honduras, ultimo Paese in ordine di tempo.
Al di là delle paci e delle guerre, gli Stati Uniti con la loro assenza da due recenti e importanti avvenimenti internazionali, hanno senz’altro inferto un duro colpo al già fragile multilateralismo, chiamato a sopravvivere in un contesto geopolitico ormai alquanto frammentato.
Si tratta in primo luogo della COP 30 sui cambiamenti climatici che si è tenuta a Belem, in Brasile, durante il mese di novembre. Già ritiratisi dall’Accordo di Parigi del 2015, gli Stati Uniti di Trump, principali emettitori di CO2 per PIL pro-capite, hanno disertato il Vertice, la prima volta nella loro storia, negando gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici in corso e con una chiara opposizione all’abbandono dei fossili, petrolio, carbone e gas. Un’assenza che ha inevitabilmente pesato sulle conclusioni della COP e sugli impegni da assumere dai singoli Paesi per il futuro e per limitare l’aumento delle temperature globali.
In secondo luogo, ha creato non poche perplessità e stupore l’assenza degli Stati Uniti al G20 in Africa del Sud, giustificata con la solita violenza verbale e con infondate accuse nei confronti di Pretoria. Si trattava di un G20 organizzato per la prima volta, il 24 e il 25 novembre scorsi, in un Paese africano, un Vertice che riunisce i responsabili politici delle 20 economie più ricche e quelle in via di sviluppo, con l’obiettivo di dialogare sui principali temi globali. A Pretoria si è infatti discusso di cambiamenti climatici, sul peso del debito dei Paesi in difficoltà e sulle diseguaglianze. Non solo, si è anche parlato di “una pace giusta, completa e sostenibile” in Ucraina, ma anche in Palestina, Sudan, Congo…
Tutti temi ripresi in una Dichiarazione comune e respinta da un Presidente Trump non solo perché assente al Vertice ma anche deciso ad escludere l’Africa del Sud dal prossimo Vertice del 2026, che dovrebbe svolgersi proprio sotto Presidenza americana a Miami.
In questo cupo scenario il campanello d’allarme suona sempre più forte per salvare quel multilateralismo che sappia garantire il rispetto del diritto internazionale e la cooperazione fra i popoli, ingredienti indispensabili per la pace e la sicurezza di tutti.












