Un giorno, con la distanza necessaria, gli storici racconteranno quanto accaduto in questi primi mesi dell’anno nel mondo, in Europa e in Italia.
Nel mondo, per capire ruolo e responsabilità della Cina nella diffusione del virus, degli Stati Uniti nel ritenersene al riparo, insieme con gli amici britannici; in Europa per misurarne i tempi di reazione e la capacità di coordinarsi e, in Italia, per elaborare un bilancio dell’azione, spesso in ordine sparso, degli attori pubblici nel contrasto alla pandemia e a sostegno di una difficile ripresa economica.
Limitiamoci ora a leggere la cronaca di quanto fatto finora dall’Unione Europea, con la sua macchina istituzionale complessa e le sue limitate risorse disponibili.
Si è mossa per prima la Banca centrale europea (BCE) che, dopo una prima esternazione infelice della sua Presidente Christine Lagarde, ha proseguito sulla strada indicata da Mario Draghi impegnandosi all’acquisto di titoli di Stato fino ad un ammontare almeno di 1000 miliardi di euro, con l’obiettivo di alleggerire la pressione sulle finanze pubbliche e contenere gli aumenti di spread: operazione quanto mai utile per l’Italia.
E’ stata poi la volta della Commissione, forte del suo potere di iniziativa, a proporre la sospensione del Patto di stabilità, attenuare la disciplina sugli aiuti di Stato, liberare le risorse residuali del bilancio 2014-2020 (40 miliardi di cui 11 per l’Italia) e lanciare il progetto “Sure” per contribuire a una “cassa integrazione europea” con una dotazione di 100 miliardi, oltre ad intervenire con aiuti di emergenza sul fronte sanitario con misure per sbloccare la libera circolazione di beni e servizi medici e con finanziamenti alle ricerche in corso.
E’ adesso in corso l’elaborazione di un “Piano per la ripresa”, sollecitato da Francia e Italia e da una decina di altri Paesi, per fornire finanziamenti fin da subito con una dotazione di 500 miliardi, da raddoppiare con l’adozione del nuovo bilancio 2021-2027, con l’ipotesi di portarne il volume dai 1000 miliardi del settennato precedente ai 2000 proposti per il periodo 2021-2027, passando quindi dall’attuale 1% del Pil al 2% da versare nelle casse stremate dell’UE. E’ collegata con questa manovra la possibilità di approdare, con modalità innovative, alla creazione di titoli pubblici europei con garanzia comunitaria e conseguente forte riduzione degli interessi sui prestiti attivati dai Paesi UE.
Nel frattempo si erano mossi due altri attori importanti dell’UE: quello della leva finanziaria, in capo alla Banca europea degli investimenti (BEI), con finanziamenti alle imprese per 200 miliardi di euro, e quello politico intergovernativo dell’eurogruppo dei ministri finanziari, cui competeva la proposta di strumenti da attivare (tra cui il nuovo MES con una disponibilità immediata di 240 miliardi, di cui 36 per l’Italia, praticamente senza condizioni).
Passaggio questo che ha fatto parlare di un “Piano Marshall” invocato da molti e sollecitato dalla recente risoluzione del Parlamento europeo con l’ampio sostegno, purtroppo in ordine sparso, di tutte le forze politiche “europeiste”, ma segnato dalla complessità istituzionale cui s’aggiunge la complessità degli strumenti disponibili e la difficoltà di adottarne di innovativi. Senza dimenticare che per il “Piano di Marshall” di oggi non si può contare su un apporto esterno, come fu con quello americano del dopoguerra, e che per nessuno esiste un “Babbo natale”, portatore di doni: la quasi totalità degli strumenti attivabili sono prestiti e quindi, prima o poi, da rimborsare.
Una valutazione corretta su quanto fatto – e quanto è ad oggi possibile fare – deve tenere conto delle responsabilità istituzionali in gioco dove prevale il potere “intergovernativo” del Consiglio europeo (dove si decide all’unanimità) e l’autonomia decisionale della BCE (dove si decide a maggioranza) mentre è limitato il potere, essenzialmente propositivo, della Commissione europea e, in questa fase, quello di stimolo da parte del Parlamento europeo. Come dire che, rispetto all’esperienza del passato, si sta sfiorando il miracolo.
la semplicità e la lucida comunicazione taglia tutti i discorsi di politici nazionali : incapaci o ignoranti o “imbloglioni” per fini casarecci .
Credo che anche i media nazionali potrebbero leggere con utilità per tutti
sarei interessato a conoscere la tua opinione sulla interpretazione del testo che descrive le condizionalità sul MES. Ha ragione Cottarelli che dice che nella sostanza non ci sono condizioni oppure interpretano più correttamente quelli che dicono che sono vincoli capestro? Oppure come sempre la ragione non sta da una parte sola ed il testo è sostanzialmente ambiguo e quindi aperto alle interpretazioni di chi, quando sarà il momento, dovrà decidere cosa e come farci pagare?
Grazie