Preghiere a Santa Sofia

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Il 24 luglio 2020 segna un momento storico per la Turchia e per Istanbul in  particolare, la bella e grande città adagiata sul Bosforo e unica a fungere da anello di congiunzione fra due continenti, Europa e Asia. Ricca di storia e di plurali convivenze, Alphonse De Lamartine disse di essa, nell’800: “Se a un uomo venisse concessa la possibilità di un unico sguardo sul mondo, è Istanbul che dovrebbe guardare”.

Emblema a Istanbul di questa ricco e affascinante passato è Santa Sofia, Divina Sapienza, basilica bizantina per nove secoli e moschea per altri sei. Fu trasformata in museo nel 1934 da Mustafa Kemal Ataturk, che, volendo restituirla “all’intera umanità”, ne aveva fatto il simbolo della nuova e laica Repubblica Turca.

Dopo 86 anni in cui Santa Sofia offriva al mondo intero la sintesi di una bellezza fatta di secoli di storia, di religioni e di cultura, il Presidente turco Erdogan, con un gesto carico di risvolti politici, religiosi e identitari, ha riportato questo patrimonio dell’umanità al suo antico stato di moschea.

Una decisione brutale, che ha suscitato emozioni e tristezze in Europa e nel mondo intero. Di tristezza infatti sono state le parole di Papa Francesco: “Penso a Santa Sofia e sono molto addolorato”.  Di tristezza ma anche di grande durezza, le reazioni di tutto il mondo ortodosso. 

Con questo gesto, Erdogan ha segnato un nuovo passo avanti nella sua politica di riorientamento del futuro della Turchia, dove l’identità del Paese, ad immagine di un decaduto Impero ottomano, sarà quella di un Paese islamista, nazionalista e suprematista. Un gesto che manda un segnale chiaro di quanto infatti stia cambiando la Turchia, di quanto si stia allontanando dall’Occidente e dall’Europa, di quanto voglia essere attore di una politica internazionale più agressiva e di quanto voglia affermarsi come legittimo leader politico del mondo islamico. Un gesto forte che si inserisce, all’interno di un Paese sempre più fragile economicamente, nella deriva della ricerca del potere assoluto, facendo saltare con determinazione i paletti della democrazia, dello stato di diritto, del pluralismo politico e della modernità.

Una situazione che si specchia con particolare evidenza nelle nuove linee di frattura e di conflitti che attraversano il Medio Oriente. Rifacendosi spesso ad un passato imperiale islamico, la Turchia è scesa sul campo di battaglia mediorientale, in Libia in particolare, per conquistare una posizione di egemonia e fare sbarramento a quello che si sta profilando come un asse composto da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Egitto. Da un punto di vista islamico, un confronto tutto interno al mondo sunnita.

Non solo, ma è anche, di riflesso, una situazione che crea non pochi problemi in seno all’Alleanza atlantica, dove la Turchia è Paese strategicamente importante per la sua posizione fra Europa e Asia. Il protagonismo di Ankara e di Mosca sulla scena mediorientale e internazionale non rassicura di certo gli alleati occidentali.

Ed infine, il Presidente Erdogan, sta sfidando per ragioni di interessi energetici, la stessa Unione Europea nel Mediterraneo orientale, forzando richerche e trivellazioni illegali nelle zone economiche esclusive di Cipro e Grecia.

E’ in questo quadro complesso e inquietante che il Presidente Erdogan ha inaugurato, con le sue preghiere, la moschea di Santa Sofia.  Appare tuttavia con chiarezza che la posta in gioco non è soltanto il dialogo tra popoli e religioni.

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