Per non annegare nelle parole

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Adesso diventa urgente, oltre che salvare i disperati che annegano a centinaia nel Mediterraneo, salvare dal naufragio anche l’Europa. E per riuscirci le parole non bastano. Adesso bisogna capire bene da dove arriva questa strage continua, le sue dimensioni oggi e domani e decidere che cosa l’Unione Europea può e deve fare e con quale contributo dell’Italia.
La strage continua nel Mediterraneo – oltre 5000 morti solo dall’inizio 2014 – viene da lontano, non solo geograficamente, ma anche storicamente. Per non risalire troppo lontano si potrebbe partire da quando vennero tracciate col righello le prime frontiere coloniali alla Conferenza di Berlino nel 1884, sviluppate nel secolo seguente, quando nel pieno della prima guerra mondiale, Francia e Gran Bretagna disegnarono insensati confini nella regione mediorientale dopo averne tracciati altri con le colonie in Africa, in favore dei propri interessi, in particolare legati allo sfruttamento dei preziosi giacimenti petroliferi e di altre risorse naturali. Vengono anche di lì, oltre che dagli infiniti conflitti all’interno del mondo musulmano, dal persistere di regimi dittatoriali e da insopportabili condizioni di povertà, le turbolenze che da quelle aree si riversano sul Mediterraneo e sulle coste dei Paesi meridionali dell’UE, in particolare dell’Italia.
Ormai, a forza di tergiversare, l’intera regione mediorientale è in fiamme e l’incendio si sta propagando in Africa, dalla Libia fino ai Paesi dell’interno, come risulta da massacri recenti.
A questo punto illudersi che si sia di fronte ad un fenomeno passeggero è un errore imperdonabile e parlare di blocco navale sono parole al vento, buone per la propaganda elettorale.
È necessario prendere coscienza dei segnali di allarme che giungono ogni giorno dal crescente disordine mondiale, dall’insostenibile livello delle disuguaglianze e dal diffondersi di violenze e conflitti armati. Come ha ricordato papa Francesco è in corso una terza guerra mondiale, meno visibile solo perché frammentata nello spazio.
La dimensione mondiale di questa guerra esigerebbe una risposta di livello proporzionato ed è normale che il pensiero corra all’ONU, un’organizzazione internazionale creata per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. La storia purtroppo ci ha convinti che queste belle parole hanno avuto pochi seguiti concreti, al punto da rendere poco credibili le risoluzioni e gli appelli dell’ONU, anche se oggi ancora necessari per dare legittimità a eventuali interventi armati.
Abbiamo sperato – e, seppure a fatica, continuiamo a sperarlo – che a questa triste deriva di impotenza sfuggisse almeno l’Unione Europea, una realtà transnazionale a vocazione federale, nata sulle macerie della seconda guerra mondiale, per rispondere al rischio permanente del conflitto armato con l’impegno alla solidarietà e il rifiuto della guerra, come detta anche l’art. 11 della nostra Costituzione.
Oggi l’Unione Europea è di fronte a una decisiva prova – veritá. Dotata dai Trattati di poteri rilevanti in materia commerciale, economica e monetaria, dove dispone di strumenti normativi vincolanti e dell’arma delle sanzioni, si ritrova in gran parte disarmata giuridicamente per affrontare il fenomeno migratorio in corso e governarlo, tanto in ingresso che nelle sue diverse fasi di praticabili integrazioni. Glielo impediscono pretese – e comode – sovranità nazionali, cinici egoismi di politici miopi alla disperata ricerca del consenso oggi, sacrificando il futuro dei loro Paesi e dell’Unione Europea.
Chi guida – o pretende guidare – l’UE dovrebbe sapere che non sempre i problemi delle persone possono aspettare i tempi lunghi dei Trattati e che la politica ha senso se si assume tempestivamente le sue responsabilità di fronte a drammi come quelli del Mediterraneo, in attesa che i Trattati seguano. Qualcosa del genere, seppure in ritardo, è avvenuto sul fronte finanziario e monetario con gli interventi inediti della Banca centrale europea. Tocca adesso al Consiglio europeo straordinario di Bruxelles, fare qualcosa di straordinario per rispondere a una situazione di straordinaria drammaticità, andando ben oltre al timido documento di 10 punti preparato dai Ministri degli Esteri, anche facendo ricorso, se inevitabile e con un largo consenso internazionale, quello dell’ONU in particolare, ad azioni militari mirate, almeno per distruggere i barconi prima che si mettano in mare. Alle azioni urgenti altre ne dovranno seguire in tempi ravvicinati: dalla revisione dal Regolamento di Dublino (2003) in tema di diritto d’asilo e da una ripartizione equa dei costi dell’accoglienza dei rifugiati fino all’intensificazione delle iniziative diplomatiche per ritrovare un’interlocuzione credibile con Paesi oggi allo sfascio, come la Libia.
È troppo chiedere che la nuova Commissione, investita per la prima volta da un mandato politico, il Parlamento europeo, legittimato dal voto popolare e l’Italia, esposta sul fronte caldo degli arrivi e dei morti, facciano pressioni sui Governi, riuniti nel Consiglio europeo, perché – come stanno chiedendo con insistenza papa Francesco e il Presidente Mattarella – non si voltino dall’altra parte, ma colgano l’occasione per far nascere una nuova Europa, capace di ritrovare dignità e solidarietà?