Molti europei e poca Europa al forum sociale mondiale di Porto Alegre

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Proprio un Forum sociale mondiale quello che si è tenuto a Porto Alegre in Brasile dal 26 al 31 gennaio scorso. Mondiale lo è stato non solo per la grande partecipazione: centocinquantamila persone in provenienza da tutto il mondo, anche se naturalmente prevalevano di gran lunga i latino-americani seguiti dagli europei e da un numero in crescita di nord-americani. Meno numerosi gli asiatici e, ohimè, poco presenti i rappresentanti dell’Africa dove pur si dovrebbe tenere il prossimo Forum mondiale nel 2007. Ma mondiale il Forum lo è stato anche e soprattutto per le grandi differenze che si sono manifestate, con le contraddizioni e la confusione che caratterizzano questo nostro mondo attuale e, sembra di capire, anche quell’»altro possibile» che è l’obiettivo dichiarato di questo movimento divenuto planetario e che a Porto Alegre ha rivelato molte luci e qualche ombra.
A Porto Alegre il «movimento dei movimenti» ha dimostrato di continuare a crescere, di porsi il problema della sua dimensione propositiva e delle sue articolazioni regionali. Ha rafforzato la sua componente euro-atlantica accanto alla naturale mobilitazione latino-americana, dovuta non solo a ragioni geografiche, ma più ancora alla tenace tradizione di lotte, diventate più fiacche sul continente europeo. Che si tratti di un movimento sempre meno euro-centrico è evidente ed è anche un bene e tuttavia un po’ più di Europa tra i temi trattati poteva essere un arricchimento per tutti. Lo si è notato in particolare a proposito dell’area tematica consacrata al futuro della democrazia mondiale. Nei dibattiti, organizzati in un ampia ed assolata area sabbiosa (quasi metafora della difficoltà   di dare fondamenta solide alla futura architettura politica del mondo) e frequentati per lo più da giovani latino-americani, sono risultate assenti o quasi le voci in provenienza dalle esperienze pur importanti della transizione democratica nei Paesi dell’Est e non solo in quelli oggi membri dell’Unione europea. Tra le molte decine di incontri e seminari dedicati al tema della democrazia, due soltanto hanno fatto riferimento esplicito all’Unione europea: uno sulla Costituzione ed un secondo sul carattere di laboratorio politico che rappresenta oggi la costruzione di una democrazia sopranazionale nell’Unione europea. Colpisce la poca rilevanza data all’argomento quando il Forum si tiene in un Paese che da anni, ed oggi con rinnovata convinzione da parte del governo Lula, è impegnato nella costruzione del Mercosur, spazio economico integrato in America latina che si avvia in tempi brevi verso un’unione doganale e in prospettiva verso un’aggregazione politica che consenta di far fronte alle pressioni dell’ingombrante vicino nord-americano. Analogamente stupisce la poca considerazione accordata alle aggregazioni commerciali che proprio il Brasile ha provocato con successo all’interno dell’Organizzazione mondiale del commercio per rompere la tradizionale egemonia di USA e Unione europea nei negoziati commerciali. Qui, come da copione, si è rinnovata la critica radicale al Fondo monetario internazionale, alla Banca mondiale, all’Organizzazione mondiale del commercio e, su su, fino all’Onu, talvolta confondendo la collocazione e la storia di queste diverse realtà  . Critiche spesso sacrosante, ma sicuramente più utili se fossero accompagnate da proposte realiste per la salvaguardia – in una stagione come questa di egemonia unilaterale degli USA – dei pochi luoghi strutturati di confronto e dialogo multilaterale. Curiosamente assente anche il riferimento – salvo nell’importante Forum sindacale internazionale che ha attraversato tutto il programma dei lavori – all’Organizzazione mondiale del lavoro alla quale qualche merito sulla salvaguardia della dimensione sociale della globalizzazione va pure riconosciuto.
Certo è sacrosanto esigere equa rappresentanza democratica all’interno degli organismi multilaterali dove oggi contano solo gli «azionisti pesanti» o i cinque cosiddetti «grandi» nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Su quest’ultimo tema il Forum si è speso con efficacia e determinazione rivendicando per l’ONU un rafforzamento nel quadro di una riforma profonda.

Quale strategia per la transizione?

Complessivamente, quello che sembra ancora mancare nei movimenti non è la capacità   di analisi e di denuncia, ma piuttosto una proposta che affronti con realismo una strategia di transizione che conduca questo mondo di sopraffazione verso quell’altro «mondo possibile» e forse ancor più «necessario ed urgente» che il Forum sociale mondiale invoca da anni con generosità  . E oggi, affrontare con realismo la transizione vuole anche dire costruire delle aggregazioni regionali, continentali o subcontinentali che, organizzate nel rispetto delle proprie storie e delle specifiche condizioni socio-economiche, trovino una loro strada per nuove forme di democrazia sovranazionale e di integrazione politica. Nascerà   probabilmente – ma ci vorrà   ancora tempo – da queste aggregazioni un’articolazione di governo mondiale che da utopia invocata deve diventare pratica effettiva. La comprensibile impazienza di chi vuole saltare questa già   difficile tappa intermedia somiglia troppo ad un salto mortale senza rete che, in nome di un futuro e ancora lontano «stato di diritto mondiale», denuncia inaccettabile l’attuale esercizio parziale di diritti circoscritto ad aree limitate del mondo. Perchà© è vero che i diritti e la democrazia o sono universali o non sono, ma è anche vero che la storia dei diritti non ha nell’universalità   il suo punto di partenza ma piuttosto il suo traguardo. Certo, tutto questo rende la transizione piena di contraddizioni e di difficoltà   Ma si tratta di una difficoltà   largamente comprensibile, non solo perchà© il movimento è«giovane», ma perchà© questo mondo è « vecchio»: a quasi cinquant’anni dalla decolonizzazione e a quindici ormai dalla dissoluzione del modello sovietico questo mondo stenta a lasciar crescere l’indipendenza dei popoli e la pari dignità   a cui questi hanno diritto nella convivenza planetaria. Anzi, questo mondo uscito dalla guerra fredda assiste impotente al diffondersi di «bollenti focolai di guerra», alcuni dei quali attizzati da una grande democrazia impaurita. Ma sarebbe ingeneroso attribuire all’»adolescenza» dei movimenti la responsabilità   della mancata soluzione a problemi che si accumulano da generazioni. Forte è la tentazione di spiegare la radicalità   degli interventi con la massiccia presenza giovanile al Forum, certo preponderante e protagonista senza soggezione nà© verso il passato nà© verso i partecipanti più anziani, pure ascoltati con rispetto come hanno testimoniato le affollatissime assemblee di giovani venuti ad applaudire «grandi vecchi» come Josè Saramago ed Eduardo Galeano. Un altro miracolo questa insolita comunicazione tra generazioni tra loro lontane nel tempo e nello spazio, ma con la stessa fede in un’utopia che in personaggi come Leonardo Boff ha avuto accenti mistici e nel Presidente populista del Venezuela, Hugo Chavez, un’inquietante ed applaudita deriva demagogica.

Un forum di mobilitazione e dialogo tra movimenti

Ma il Forum sociale mondiale va giudicato non solo per i contenuti che propone e che con fatica vanno oltre creative micro-proposte che non riescono ad incidere sufficientemente sul quadro macro-economico mondiale, ma anche e più ancora per la mobilitazione che crea in particolare tra le giovani generazioni e per il confronto che provoca tra la molteplicità   delle organizzazioni e per le dinamiche di dialogo tra movimenti che mette in moto. A questo proposito a Porto Alegre si è verificato un singolare confronto: da una parte la foga e la molteplicità   delle differenze – circa seimila le organizzazioni presenti- e dall’altra l’annuncio che la storica pluralità   dei sindacati si avviava nel giro di poco più di un anno alla costruzione di un’unica centrale sindacale mondiale che, articolata continentalmente al proprio interno e con poche eccezioni, raccoglierà   i numerosi sindacati attivi nel mondo. Un evento importante che contribuità   sicuramente a costruire quell’»altro mondo possibile» che si chiede ormai a gran voce. Per raggiungere questo risultato unitario i sindacati hanno impiegato decenni di confronti e anche di aspri conflitti interni, arrivandoci con molta fatica nell’età   della «maturità  ». E’ troppo chieder a chi è insofferente per la foga «adolescenziale» dei movimenti di avere un po’ di pazienza? E nel frattempo ringraziarli per la loro generosa lucidità   di analisi, cooperando magari senza arroganza a cercare le vie difficili della transizione. Ma rapida, prima che sia troppo tardi.

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